Alla base dell'amore per la cucina non c'è solo una passione insita nel dna che è esplosa negli anni, felicemente e consapevolmente, ma c'è anche il desiderio di scoprire tutto ciò che appartiene alla nostra tradizione passata, cancellata con esiti nefasti, dalle conseguenze di un illusorio boom economico.
Tecniche di coltivazione e di allevamento, rispettosi della terra, dell'animale e dell'uomo andavano a braccetto con tecniche di cottura sapienti ed antiche, che miravano a valorizzare la materia prima in tempi in cui combinare il pranzo con la cena era il fulcro, a volte missione impossibile, di una quotidianità fatta di fatica ma anche di sorrisi condivisi.
Così oggi vorrei raccontarvi la tecnica della cottura in "canevera" che prevede l'utilizzo della vescica di maiale, uno strumento originale e raro per la cottura: ripulita e seccata si conserva un importante ingrediente, lo strutto.
La particolare tecnica di cottura poteva essere applicata solo nel periodo autunnale, quando si usava uccidere il maiale, per ricavare i salumi destinati al consumo familiare e si conservava la vescica o per lo strutto o per cucinare il cappone novello.
Purtroppo è sempre più difficile riuscire a trovarla disponibile per cui, come succedaneo, sarà utilissimo un sacchetto di plastica specifico per questo tipo di cottura, sostituibile anche con la tecnologica carta fata.
La canevera (canna vera) altro non e’ che una canna palustre comune, peraltro usata per la copertura dei tetti dei casoni di valle e di terra ferma, di 20 cm circa, segata ai limiti esterni di due nodi e completamente cava, che funge, nella preparazione di questo piatto, da sfiato.
Ne “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, di Pellegrino Artusi (1881) troviamo una ricetta del Cappone in Canavera. Che questa tecnica fosse nelle abitudini delle genti venete è confermato dalla pubblicazione edita in Zara nel 1886 intitolata “Gastronomia sperimentale”, scritta da un attore gastronomo veneto, A. Papadopoli. Nelle sue disordinate ricette ci propone “un brevetto d’invenzione”, quale “Il bove in prigione”, interpretando la cottura in canevera usando la carne di manzo.
La particolare tecnica di cottura poteva essere applicata solo nel periodo autunnale, quando si usava uccidere il maiale, per ricavare i salumi destinati al consumo familiare e si conservava la vescica o per lo strutto o per cucinare il cappone novello.
Purtroppo è sempre più difficile riuscire a trovarla disponibile per cui, come succedaneo, sarà utilissimo un sacchetto di plastica specifico per questo tipo di cottura, sostituibile anche con la tecnologica carta fata.
La canevera (canna vera) altro non e’ che una canna palustre comune, peraltro usata per la copertura dei tetti dei casoni di valle e di terra ferma, di 20 cm circa, segata ai limiti esterni di due nodi e completamente cava, che funge, nella preparazione di questo piatto, da sfiato.
Ne “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, di Pellegrino Artusi (1881) troviamo una ricetta del Cappone in Canavera. Che questa tecnica fosse nelle abitudini delle genti venete è confermato dalla pubblicazione edita in Zara nel 1886 intitolata “Gastronomia sperimentale”, scritta da un attore gastronomo veneto, A. Papadopoli. Nelle sue disordinate ricette ci propone “un brevetto d’invenzione”, quale “Il bove in prigione”, interpretando la cottura in canevera usando la carne di manzo.
Si tratta quindi di un rito del cibo che si rifà all’ingegno delle casalinghe venete e della tradizione contadina e popolare, ma è soprattutto un elemento distintivo di una civiltà che non bisogna smettere di raccontare!
- La vescica di maiale era reperibile solo in una precisa stagione dell’anno (uccisione del maiale).
- Dopo il mangiare di magro della Vigilia, il cappone era ed è una pietanza Natalizia.
- La canna palustre è espressione del territorio.
- Gli altri ingredienti individuano le specifiche caratteristiche degli usi e costumi delle diverse aree del Veneto.
Al di là del tipo di pollame scelto nelle ricette (gallina, cappone, pita…) questa ricetta ha elementi distintivi del modello alimentare della Saccisica-Padovana, come è possibile riscontrare nella bibliografia che segue:
- Michele Savonarola (Padova, (1385 –1466), medico, umanista, scienziato e docente all’Università di Padova) attribuisce ad Avicenna (alias Abū Alī al-usayn ibn Abd Allāh ibn Sīnā o Pur-Sina (980 -1037, è stato un medico, filosofo, matematico e fisico persiano) il consiglio di far arrostire la gallina all’interno del corpo di un capretto o di un agnello;
- steccare la cipolla con i chiodi di garofano tipico del gran bollito alla Padovana;
- l’uso degli agrumi nel pollame si rifà alle nostre genti (vedi Capponi in fricassea di Cristoro Messisbugo,1552, Venezia) o al più recente “Pollastro a la Padovana co’l agro de limon” riportato da de Zuliani Salvatori nel libro “A tola coi nostri veci, Franco Angeli, Milano, 1983)
- l’uso della mela (vedi “Bon savore da polastr”i ne “Il libro per cuoco” di un anonimo secolo XIV).
E finalmente la ricetta, o meglio la tecnica, della canevera!
Per la cottura in canevera:
un sacchetto, una canna di bambù, dello spago per la sigillatura.
Cosa ci si mette dentro
1 o mezza gallina, una cipolla steccata con 4-6 chiodi di garofano, una carota ed un gambo di sedano mondati, un limone - o un'arancia - tagliato a spicchi e bio, una mela granny smith tagliata a spicchi, una foglia di alloro, pepe nero e ginepro in grani, una stecca di cannella, una presa di sale, un cucchiaino di zucchero di canna.
All'interno del sacchetto inserire tutti gli ingredienti, la gallina “farcita con gli aromi” a testa in giù, il gambo di bambù e sigillare il tutto con lo spago lasciando il bambù libero dal sacchetto per metà.
In una pentola capiente inserire il sacchetto e riempirla d'acqua, facendo il modo che il bambù resti all'esterno, tipo periscopio del sottomarino. Sarebbe meglio che il sacchetto rimanesse in sospensione, legandolo ad un mestolo di traverso posto sopra la pentola.
Al bollore considerare almeno un'ora e mezza di cottura. Lasciar raffreddare dentro la pentola.
Togliere dall'involucro la gallina, spolpandola. Le verdure e gli umori possono essere frullati con un po' olio extravergine ed utilizzare la salsina così ottenuta per condire la carne oppure si può impiattare la carne con un po' di misticanza, qualche pinolo e qualche chicco di uva passa, lasciata in ammollo per una decina di minuti in vino bianco secco.
Poteva mancare la ricetta? Certo che no!
Insalata di gallina padovana con uvetta e pinoli
Ingredienti
Una gallina padovana, 1 mela granny smith, 1 limone o 1 arancia, 1 gamba di sedano, 1 carota, 1 cipolla bianca steccata con 4-6 chiodi di garofano, qualche grano di pepe nero, qualche bacca di ginepro, una stecca di cannella, una foglia di alloro fresco, 1 presa di sale grosso, 1 presa di zucchero di canna.
Terminata la cottura impiattare la carne della gallina con un po' di misticanza fresca, pinoli tostati in un pentola antiaderente, uvetta sultaniva ammollata, un filo di olio evo, salare e pepare a piacere.
Bigliografia:
Accademia della Cucina Italiana, La tradizione a tavola, Bolis Edizioni, 2015
Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene, Tipografia “L’arte della stampa”, 1910
Il brolo, l'orte e la corte nel piatto, Terra Ferma Editore, 2006
Alla gran corte della gallina padovana, Terra Ferma Editore, 2004
La cucina padovana di Giuseppe Maffioli, Franco Muzzio editore, 1981http://www.gastrosofia.it/gastronomia/gallina/http://www.gallinapadovana.net/it/la-mia-esperienza-in-allevamento.php
la proverò assolutamente ( per il momento la parcheggio nell'elenco ricette ). una domanda: tra il limone e l'arancia mi pare ci sia una non proprio leggera differenza di sapore, profumo, colore,li utilizzi indifferentemente poichè servono solamente a sgrassare?
RispondiEliminaun abbraccio, brontolo
p.s. quale fortuna poter trasmettere tutto questo sapere con una semplice digitazione e la rete.pensa a quando c'era solamente la posta;-)
Mi manca solo la canna di bambù :)
RispondiEliminaMetodo di cottura molto interessante, non lo conoscevo affatto. Sempre bravissima ;)
@Ciao Brontolo. Il diverso utilizzo dell'agrume nella ricetta è determinato semplicemente dal gusto personale. Un limone di Sorrento da un profumo unico e se avessi la fortuna di acquistare un cedro... :)
RispondiElimina@Grazie Lidia, se ti capita di fare quattro passi lungo gli argini si riescono sempre a trovare quale canneto. Tecnologia applicata alla cucina! :)
Quante volte ho visto mia nonna cucinare la gallina padovana in questo modo, solo che una volta la mettevano a cuocere nella vescica di maiale, perchè i sacchetti di plastica alimentare non c'erano.
RispondiEliminaBuonissima, grazie per avermela rammentata.
Mandi
Cara Annamaria - CIAO -
RispondiEliminainteressante questa cottura,proverò se trovo i sacchetti giusti.Grazie per la lezione , sei sempre .....BRAVA....
forte questa tecnica! ma occorre un sacchetto particolare? non è che rilascia delle sostanze "poco gradevoli" in cottura?
RispondiElimina@Ciao Rosetta; la nonna sapeva bene come fare! Ogni volta che provo dal macellaio mi guarda come se fossi molto più suonata dell'ultima volta che mi aveva vista :)
RispondiElimina@Ciao Laura. riusciremo a farci gli auguri di Natale biscottando? :)
@Benvenuta Shade, i sacchetti alimentari necessari per questo tipo di cottura sono innocui (tipo saccoccio Buitoni, stessa tipologia) e neutri, nel senso che non rilasciano alcun tipo di odore/sapore al cibo che contengono.
Cara ANNAMARIA
RispondiEliminami piacerebbe tanto ...
CIAO
grazie mille! non mi rimane che far visita a qualche canneto! :)
RispondiEliminacara Anna ho usato una tua foto ma con citazione :)
RispondiEliminast. m .