Prima che l'industria dolciaria banalizzasse il godere di un biscotto invadendo il mercato di dolcetti di tutte le forme e dai molteplici natali, le "parone de casa" veneziane preparavano con le proprie mani i biscottini da conservare in credenza e da offrire agli ospiti ed ai bambini in ogni momento della giornata.
Venezia, capitale dei traffici orientali, aveva importato con le spezie quel famoso zucchero di canna che incuriosiva le popolazioni abituate a dolcificare i cibi quasi esclusivamente con il miele o la melassa. La sua origine lo avvolgeva di quel mistero che ogni mercanzia proveniente dall'Oriente si portava dietro con i racconti di ogni marinaio su usi e tradizioni pieni di fascino di quei popoli lontani.
Lo zucchero di canna era arrivato a Venezia almeno dopo il Mille, in seguito alle Crociate che avevano dissolto il torpore medioevale seguito al vuoto di potere lasciato dalla caduta dell'impero bizantino.
A fianco dei dolci rituali e comuni ad ogni paese come la pinza o il maccafame, iniziarono a caratterizzarsi dolci soffici come le brassadele e il nadalin di Verona, il bisso e il bisso moro di Padova, la polentina di Cittadella (diventata famosa dopo una querelle tra pasticceri in un contest televisivo di pasticceri), la treccia di Thiene e tutti insieme venivano offerti con i golosessi, piccole e golose tentazioni da credenza, come i bianchetti, i bigarani, i pevarini, i forti, i bussolai di Burano, i zaeti resi preziosi dall'oro della farina di mais e dalla presenza di uvetta e pinoli, gli ossi da morto, gli amaretti, fino ai famosissimi baicoli, che venivano offerti con un caffè, un Vin di Cipro o con il più corroborante zabaione. Ancor oggi, nella scatola di latta con la quale la Colussi li mette in commercio c'è scritto "No gh'è a sto mondo no più bel biscoto/più fin, più dolce, più lisiero e san/par mogiar nella cicara e nel goto/del Baicolo nostro venezian."
Ma a fianco di biscotti blasonati e universalmente conosciuti esistono anche quelli meno noti, quasi scomparsi, come i bigarani o i pandoli, questi ultimi tradizionali di Schio, nel vicentino, che ricordano i primi l'organo sessuale femminile (con il termine biga si indica la vulva) ed i secondi, di forma fallica, appunto quello maschile.
Si tratta di dolcetti che hanno come base la pasta lievitata di pane, impastata preferibilmente con il latte invece che con acqua, dopo dolci, lavorati a ciambellina, cotti e successivamente ricotti così che la croccantezza ottenuta fosse anche garanzia di lunga conservazione nel tempo.
Nel Veneto per pandolo si intende anche una persona allampanata, alta e un po' scoordinata nei movimenti, un tontolone insomma. Giovanni Capnist nel suo libro "i dolci del Veneto" racconta di questi dolcini e anche perché furono battezzati in modo così irriverente: la loro forma allungata e la loro consistenza leggera fanno si che una volta intinti nel vino o nel latte assorbono il liquido così velocemente da piegarsi immediatamente in due, rendendo goffa anche la degustazione!
Vi lascio la ricetta di Pino Agostini e Alvise Zorzi (modificata nella quantità di latte e di lievito) e se per caso avete amiche che hanno appena partorito potreste confezionali con le vostre mani e portarglieli in dono con una buona bottiglia di passito, come si faceva una volta, così da consentire alla puerpera di recuperare più velocemente le forze. Se invece foste dalle parti di Schio c'è un panificio, Perin, che li prepara ancora e che ha ricevuto la ricetta dalla famiglia Cadauro.
Bigarani
Ingredienti
500 g di Petra 5 o buona farina 00
7 g di lievito di birra secco
100 ml di latte
100 g di zucchero
100 gr di burro
3 uova bio
un pizzico di sale
Preparazione
In una ciotola sbattere le uova (mettendo da parte un albume) con il sale e sciogliere il burro per pochi secondi a microonde.
Nella planetaria unire la farina con il lievito di birra e lo zucchero e con la frusta a gancio in movimento unire le uova, il burro ed infine in latte a filo, fino ad ottenere un impasto morbido ma compatto. Far lievitare per almeno 3 ore coperto con un panno in un luogo tiepido oppure nell'abbattitore a 26°.
Riprendere l'impasto e dividerla in filoncini della lunghezza di circa 20 cm e 2 cm di diametro, piegarli a metà ed arrotolarli su sé stessi e disporli sopra una placca da forno, coperta da carta andiaderente o foglio di silpat, distanziati fra loro.
Cuocerli nel forno statico a 150° per 15', sfornare, spennellare la superficie con l'albume appena sbattuto e lasciarli asciugare per un'intera notte.
Il mattino successivo cuocerli nuovamente per 15'-20' nel forno statico a 150°, controllando che non si dorino eccessivamente.
Sono leggerissimi e molto friabili e si conservano croccanti fino ad una settimana in una scatola di latta.
Si possono preparare anche i bigarani mori introducendo nell'impasto 50-60 g di cioccolato fondente grattugiato oppure la stessa quantità di mandorle tostate e tritate.
Meravigliosi!! Ora sono in autobus, mi ballonzola lo schermo del telefono e leggere è un po'faticoso, ma tornerò con più calma perché è troppo interessante!!
RispondiEliminaBuonissimiiiii mamma mia, davvero che spettacolo!! Bacione Mirta
RispondiEliminaIl tuo bellissimo racconto mi ha fatto pensare alla mia bisnonna, che teneva sempre una scatola di cantucci nella credenza, accanto alla bottiglia di vin santo, pronti per essere offerti agli ospiti. Mia mamma, però, aveva l'abitudine di sgranocchiarli di nascosto accompagnati anche da un proibitissimo cicchetto. Così la bisnonna cominciò a chiuderli sottochiave, ma la mia astutissima mamma scoprì presto che togliendo uno dei due cassetti aveva facile accesso al dolcissimo tesoro! Non conoscevo questi biscottoni tradizionali, ma non sai cosa non darei per averne qui qualcuno da inzuppare nel caffelatte.
RispondiEliminaInteressante che si ottengano con l'impasto del pane...che bontà!! e che bellezza ;-)
RispondiEliminaSalve, volevo chiederle se posso sostituire il lievito di birra secco con il lievito madre secco mantenendo le stesse proporzioni. Grazie.È un piacere leggere su QB,complimenti e saluti Carlo
RispondiEliminaBuongiorno Giancarlo, grazie per i complimenti. Solitamente il lievito madre secco si usa in proporzione di circa il 10% rispetto al peso della farina.
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