Se l'uomo è ciò che mangia, il cuoco è ciò che cucina?

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Comfort Food: il TUO cibo della Felicità! Sardine ripiene di couscous al coriandolo, con uvetta e pinoli


Il temine "comfort food" identifica, come in un caleidoscopio, molte sfaccettature legate al rapporto con il cibo e che hanno un comun denominatore nel termine "benessere", del corpo, certamente, ma anche dell'anima. 
Jamie Oliver, portavoce, unitamente a Michelle Obama (e qui ci sarebbe molto da dire...) della dieta mediterranea, intesa appunto come stile di vita, fatto non solo di buon cibo e di buon bere, ma anche di buon vivere e condividere, ha recentemente descritto la sua idea di Comfort Food: "E' un concetto straordinariamente ampio, e quando viene associato al cibo si carica di un valore emotivo incredibile. L'idea di comfort food varia da persona a persona e li lega a profumi, a suoni e sapori. Si tratta di piatti perfetti per determinate occasioni, capaci di evocare sensazioni dimenticate, ricordi passati e di creare istanti memorabili da tramandare. 
E' lo stesso effetto che vi fa un lungo abbraccio affettuoso o un attacco di solletico. Questi piatti evocano le stagioni, i ricordi d'infanzia, ciò che mangiavamo a scuola, le gite con i nonni, il primo appuntamento...Mangiato in cucina per un pranzetto in famiglia o da soli accoccolati sul divano, l'importante è che sia ricco ricordi, personalità ed un pizzico di tua felicità." 
In rete queste sue parole sono un sentire comune e lo si riscontra in articoli di quotidiani vecchi di qualche anno come nelle recentissime foto di coloro i quali stanno partecipando al contest #ComfortFoodIta, organizzato da Tealibri, in collaborazione anche con Patrizia in occasione della recente fatica culinaria di Jamie Oliver, "Comfort Food", appunto

Io vorrei suggerire anche un altro punto di vista.


Sono convinta che non siamo solo quello che mangiamo ma anche quello che "digeriamo" nel senso di digerire l'idea di cibo della quale ci nutriamo che per ognuno di noi è diversa, personalissima, estremamente intima, come suggeriscono le parole di Jamie Oliver. 
Teneri ricordi d'infanzia, spesso olfattivi, come l'odore del nostro piatto preferito che ci accoglieva sulle scale di casa al rientro a scuola, il primo impasto realizzato tutto da soli, con la supervisione severa ma non troppo della nonna, quasi un passaggio di testimone generazionale, la prima ebbrezza provata a tavola chissà se per le prime bollicine bevute dal bicchiere elegante o per la persona con la quale stavamo condividendo i primi passi di un progetto di vita.
Emozioni, ripeto, intime.
Ultimamente, però, il cibo, il "food", è sempre più spesso accompagnato da tante parole, spesso inutili, troppe volte urlate, lontane anni luce dai sentimenti che sempre il cibo ha evocato. Fazioni, tutti pro o tutti contro qualcosa o qualcuno e sempre meno insieme per costruire un'idea più seria di cibo. Ad Expo chiuso e con la Carta di Milano sottoscritta da  quasi tutti qualche riflessione bisognerebbe iniziare a farla. Giusto per digerire meglio quello che "sottilmente" ci viene imposto dall'alto.


Qual'è quindi la mia idea di Comfort Food? 
Da bimba ed adolescente inappetente cronica e giovane donna distratta da tutt'altro il mio comfort food, quello di cui mi nutrivo, era narrato nei libri, dal Manuale di Nonna Papera all'opera di Pellegrino Artusi passando per tomi di storia della cucina e riviste patinate, fino a quando decisi che dovevo dare una svolta alla mia vita e che questo colpo d'ala doveva avvenire attraverso il cibo che avevo studiato, la mia personalissima maieutica da vivere. Questo accadde ben 10 anni fa e nel mese di agosto, a Maglie, incontrai Lilia Zaouali che con il suo libro, nel quale conservo ancora la dedica, "L'Islam a tavola, dal medioevo a oggi" mi ha aperto il cuore circa l'idea di cibo, di quello che io considero Comfort Food ovvero di ricette che raccontano delle storie e storie che raccontano delle ricette, in uno scambio continuo che può iniziare e terminare a tavola ma che deve continuare raccontando ed ascoltando, scambiando emozioni ed esperienze, così da dare al cibo le gambe che da sempre ha avuto e liberarlo dalle catene con le quali sempre più spesso lo si vuole legare. 

Ecco allora il mio piatto "Comfort Food" a base di sardine ed ispirato ad una ricetta presente nel libro di Lilia, la "Zabibiyya" ovvero "Pesce all'uva passa" che ho "contaminato" con gli ingredienti che a Venezia vengono usati sia nella cucina veneziana che in quella del Ghetto e che, con l'aggiunta del couscous palestinese e del coriandolo, ricorda quel medio oriente nel quale da cinque anni un cupo inverno ha sostituito la primavera.


Sardine ripiene di couscous al coriandolo, uvetta e pinoli.

Ingredienti
1 kg di sardine
50 g di mollica di pan brioche
50 g di couscous integrale (palestinese)
50 g di capperi in salamoia
50 g di uva passa
50 g di pinoli
4 acciughe sott'olio
1 limone bio
timo limone fresco
foglie di alloro
pane grattugiato
2 cucchiai di zibibbo oppure solo acqua tiepida o solo succo d'arancio per l'ammollo dell'uvetta.
Olio extravergine d’oliva da olive taggiasche
Sale iodato
Pepe nero cubebe

Preparazione
Portare a bollore 100 ml di acqua salata con qualche seme di coriandolo pestato, eliminarli ed unire il couscous, lasciando riposare per qualche minuto fino a quando l'acqua non sarà tutta assorbita.
Lavare le sarde, privarle della testa, delle interiora e della lisca centrale, sciacquarle bene ed asciugarle con carta cucina.
Mettere in ammollo l’uvetta nello zibibbo.
In una padella antiaderente tostare i pinoli, successivamente la mollica e mettere da parte. Nella stessa padella stemperare con un paio di cucchiai di olio le acciughe, ottenendone una salsa.
Sciacquare e tritare i capperi, l’uvetta, i pinoli e il timo limone. 
In una ciotola mescolare la mollica tostata e il couscous sgranato con un cucchiaio di succo di limone, uno di olio, la scorza del limone grattugiata e la salsina di acciughe, mescolare bene ed unire i restanti ingredienti e l’uvetta scolata e strizzata.
Distribuire il composto sulla parte interna delle sarde, arrotolarle e posizionarle in una teglia unta d’olio, intervallando le file con una foglia di alloro fino alla fine degli ingredienti. Terminare con un po’ di pane grattugiato ed un filo d’olio.

Cuocere nel forno già caldo a 220° per 20’, sfornare, far riposare qualche minuto e servire immediatamente.


3 ingredienti:

  1. Che stupendo post. Spero davvero che si possa cominciare come dici tu "a digerire" una diversa e sana idea di cibo, fuori da tutto questo speculare fine a se stesso. Che poi basterebbe allontanarsi un po' con lo sguardo e rendersi conto che ciò che resta veramente è l'essenziale, proprio quello che ci arriva da una memoria ancestrale. Quello che mi spaventa delle nuove generazioni figli di un mondo che non cucina ma non fa che parlare di cibo, è lo smarrimento di questa prospettiva che invece noi lentamente stiamo ritrovando. Chissà se mia figlia un giorno si avvicinerà alla cucina alla ricerca di famiglia, di profumi e sapori che parlano di amore, attenzione, cura...
    Meravigliosa ricetta, come sempre.
    <3 Pat

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  2. Meravigliosa ricetta.Contro tutto quello che per niente "sottilmente" ci viene imposto. Sono felice di trovare sempre delle delizie tra le amiche di blog. Questo sì che è un grande "confort"-o!!! Giovanna

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