Fatti come la nascita da una vergine e la resurrezione dalla morte costituiscono ovvi archetipi universali, condivisi dalle mitologie di molte culture. [...] Ad esempio, la scelta del 25 dicembre come giorno della nascita di Gesù è mutuata dalla festa del Sol Invictus, “Sole Invitto”, il Dio Sole (El Gabal) che l’imperatore Eliogabalo importò nel 218 a Roma dalla Siria. L’imperatore Aureliano ne instaurò il culto nel 270 e ne consacrò il tempio il 25 dicembre 274, durante la festa del Natale del Sole: il giorno, cioè, del solstizio d’inverno secondo il calendario giuliano, quando il Sole tocca il punto più basso del suo percorso, si ferma (da cui il nome solstitium, “fermata del Sole”) e ricomincia la sua salita, in un succedersi di eventi che si può metaforicamente descrivere come la sua “morte, resurrezione e ascesa in cielo”.
Piergiorgio Odifreddi
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Scena: cucina, notte della vigilia, Pina ed io.
“L’hai scritta la lettera?” mi domanda una Pina profondamente risentita dalla presenza del cappone sopra il tavolo da lavoro.
“Certo, come sempre - rispondo. E’ l’attività che preferisco di questo periodo così meravigliosamente consumista: chiedere qualcosa ad un signore in pigiama rosso per festeggiare la nascita di un bambino che quattro mesi dopo ci vedrà impegnati a festeggiarne la morte, pardon il suo assassinio.”
“Noto che lo spirito natalizio che alberga nel tuo cuore fa scempio del tuo ottimismo con sempre maggiore efficacia” - mi apostrofa Pina sogghignando.
“Non è vero! Sai che sono un’inguaribile ottimista! La speranza è l’ultima a morire, mi pare si dica.” concludo sorridendo, mentre finisco con l’ultimo pezzo di impasto per i Mo’moul.
“Ma poi muore, mi pare accada.” conclude la saggia amica pennuta.
Già.
Sarà l’età e sarà che a 10 anni scrivevo “Caro Babbo Natale (anche se non esisti), convinci i miei genitori a regalarmi un microscopio che le bambole proprio non le sopporto” ma il profumo della cannella copre con sempre minor efficacia la puzza dell’ipocrisia.
Una cosa però gli scriverei a Babbo Natale, anche se non esistesse.
Mi piacerebbe chiedergli di togliere l’audio all’umanità. A quella "virtuale".
Di far chiudere la bocca ai milioni (miliardi?) di persone che abitano nella rete, di soffocare le loro stupidaggini inconcludenti, di troncare i loro dibattiti inutili, di sterminare le loro polemiche sterili.
Del resto basta prendere l’esempio dalle loro opere quotidiane: rifiutare, soffocare, troncare e sterminare riesce benissimo anche fuori dalla rete e quindi non dovrebbe essere così difficile replicare simili azioni nei confronti dei decibel.
Gli chiederei quindi di “silenziare” chi non ha niente da dire e che, nonostante la vacuità dei propri pensieri, riesce a propinare un rumore terribile. E insopportabile.
E gli chiederei, magari aiutato dalla magia della strega Nocciola che di incantesimi se ne intende, di trasformare gli inutili pensieri rumorosi in utili azioni silenziose. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Anche far conferire l’umido nel bidone dell’umido, per esempio.
E cosa gli offrirei in cambio?
Dunque buona, brava, paziente e sorridente già lo sono. Che poi l’atto del sorridere fa muovere un sacco di muscoli e con la faccia che comincia a cedere alla forza di gravità non è male come attività fisica.
Gli offrirei i miei silenzi operosi, le mie assenze fertili, la mia generosità scontata ovvero non a basso prezzo, il mio cuore oltre l'ostacolo e consapevole del rischio dello schianto contro un muro di gomma. Sull’obbedienza possiamo discutere.
E gli offrirei i biscotti che sto preparando ora, biscotti che con il Natale non c’entrano nulla, certo, come non c’entra nulla l’euforia isterica di questi giorni con la nascita di un bambino che corrisponde alla nascita del sole secondo i riti pagani di qualche millennio fa.
Sono biscotti dalle mille ricette e dal colore del sole, dalle farciture ricche e profumate, dalla dolcezza non stucchevole e dalla texture insolita.
E sono biscotti che sono un rito, un rito femminile, che si compie nei ginecei di quella parte del mondo che amo particolarmente e come per tutti i riti gastronomici femminili che si compiono in tutte le parti del mondo sono un dono, un atto di amore, un desiderio di condivisione e di unione.
Gesti virtuosi che si perdono nella notte dei tempi, gesti compiuti rispondendo ad un copione d’amore non scritto, gesti tanto silenziosi quanto operosi.
Per una volta lasciar parlare le mani ed il cuore, con un silenzioso sorriso che illumina il volto.
Buon Natale.
Ma’moul, i dolcissimi biscotti libanesi
Un biscotto preparato con le proprie mani è un dono e questi biscotti vengono preparati dalle donne per le donne. Troverete tantissime ricette ma due sono i capisaldi: il semolino e il ripieno che vedrà come ingredienti principali datteri e noci o pistacchi. In rete si possono acquistare gli stampi in legno ma è possibile confezionarli procedendo come fossero dei ravioli. Questa ricetta è quella del mitico Yotham Ottolenghi, appena un po’ personalizzata, per rendere più semplice l’esecuzione anche a chi non ha grande manualità “biscottifera”.
Portata: dessert, biscotti
Dosi per 24 pezzi, circa
Difficoltà: media
Preparazione: 30’ più il riposo
Cottura: 15’
Ingredienti per l’impasto
200 g di semolino
200 g di farina 00
180 g di burro chiarificato
50 g di zucchero semolato
1 cucchiaio di acqua di fior d’arancio
1 cucchiaio di acqua di rose
1 cucchiaio tra cannella, noce moscata, cardamomo e zenzero in polvere
1/2 cucchiaino di bicarbonato
1/1 cucchiaino di sale
Ingredienti per la farcia
100 g di pistacchi tostati
40 g di datteri
20 g di zucchero di canna
1 cucchiaio tra cannella, noce moscata, cardamomo e zenzero in polvere
1 cucchiaino di acqua di rose
1 cucchiaino di acqua di fior d’arancio
Preparazione
Scaldare il forno a 180°.
Unire in una ciotola (o nella planetaria) il semolino setacciato con la farina, il bicarbonato e le spezie, lo zucchero, il sale e mescolare aggiungendo il burro a temperatura ambiente, le acque profumate e le spezie, lavorando gli ingredienti fino ad ottenere un composto liscio. Coprire con della pellicola e far riposare in frigo per 30’.
Nel mixer frullare i pistacchi con i datteri, lo zucchero, le spezie, le acque aromatiche fino ad ottenere una pasta morbida.
Con le mani inumidite dividere l’impasto in palline di 25 g di peso circa, schiacciarle con le dita sul palmo della mano fino ad ottenere dei dischi, inserire al centro un cucchiaino colmo di impasto, chiudere con i bordi del disco e con i rebbi della forchetta formate di disegni sulla superficie.
Se invece avete il tradizionale stampo in legno stendere un pezzettino di impasto sull'incavo decorato, farcirlo, richiuderlo e con un colpo secco sul piano di lavoro "espellere" il biscotto dallo stampo.
Procedere fino alla fine degli ingredienti e disporre i Ma’amoul sopra una teglia coperta da carta forno.
Cuocete per 15’: non devono dorare troppo.
Sfornare, far raffreddare sopra una gratella e servire spolverandoli di zucchero a velo.
li conosco sono buonisissimi li ho mangiati a Gerusalemme, grazie della ricetta
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