Qualche settimana fa, per la #prugnaincompresa, vi raccontai delle forme prevalenti della dolcezza nell’antichità, in cui la frutta e il miele erano i protagonisti indiscussi. Oggi, riprenderemo quel viaggio, e scopriremo che la dolcezza è caratteristica di moltissime religioni. Assieme al digiuno.
Leggendo la Genesi si scopre che Adamo, vegetariano, si giocò il Paradiso Terreste con una mela, un frutto dolce, e non di certo con un broccolo (con tutto il rispetto per questo ortaggio così prezioso), e che Noè salutò la fine del Diluvio con il succo d’uva.
Continuando la lettura di altri libri, come il poetico Cantico dei Cantici (Ca 6:4-10; 7:7-9) si legge: “11. Sposa mia, le tue labbra stillano miele, miele e latte sono sotto la tua lingua; 13. I tuoi germogli sono un giardino di melagrani e d'alberi di frutti deliziosi, di piante di cipro e di nardo.”
Anche per i Greci, che consideravano l’eccessivo consumo di carne alquanto disdicevole, la dolcezza nell’Olimpo era caratterizza dall’ambrosia, nettare miracoloso che donava l’eterna giovinezza.
Fondamentale la dolcezza, quindi, ma anche l'astensione ad essa, come nel rito del digiuno, comune a tutte le religioni professate nel mondo.
Nel Cristianesimo le rinunce della Quaresima vengono interrotte durante i quaranta giorni grazie alla festività di San Giuseppe, omaggiato con dolcetti fritti come le Zeppole e le Graffe.
Nelle festività ebraiche la frutta e il miele sono fondamentali e nella festa dello Yom Kippur (Levitico 16, 29-31; 27-32; Numeri 29,7), il lunghissimo digiuno di 25 ore viene interrotto da un caffè, una limonata ed infine un dolce, come un biscotto all’anice oppure una fetta di Bollo, un dolce dalle origini sefardite che viene preparato solo nel Ghetto di Venezia.
Per l’Islam il digiuno rappresenta uno dei cinque pilastri della fede: nel mese di Ramadan, infatti il musulmano osservante si astiene da cibo e acqua, dall’alba al tramonto. Il pasto di rottura, subito dopo il tramonto, si chiama Iftar: inizia con un bicchiere d'acqua e con uno o più datteri (purché siano dispari, come insegnò il profeta Maometto). Si consumano verdure, frutta fresca e dolci: uno davvero delizioso, preparato nel Maghreb, è il Katayef.
Il cibo quindi, per gran parte delle religioni, è un valore oltre che una sostanza indispensabile al sostentamento: ieri come oggi, i fedeli osservanti riconoscono nel mangiare e nel bere azioni cariche di un forte significato che potremo definire come identità culturale. Ma è anche nell’astensione dal cibo e dall’acqua, nei lunghi digiuni rituali che si compie un rito che unisce la comunità. E il dopo digiuno, o i momenti in cui questo viene spezzato, dona alla dolcezza una valenza ancora più importante in quanto è proprio con un cibo dolce che si riprendono, allegramente, le energie.
Vorrei salutarvi con una lettura della cucina decisamente più laica e che sottolinea l’importanza della dolcezza nei menù, fin dal Rinascimento. I banchetti, la cui realizzazione necessitava di settimane di anticipo, prevedevano una sorta di “rottura” tra un servizio e l’altro, che consisteva in spettacoli accompagnati da pietanze dolci le quali, secondo la Teoria degli Umori, avrebbero riequilibrato l’organismo. Successivamente si cercò di snellire i pranzi ufficiali, evitando di coinvolgere suonatori e ballerine, continuando però la buona abitudine dei tramessi, pietanze leggere da servire dopo l’arrosto. L’Artusi li propone nelle ricette che vanno dalla 227 alla 252 e nella cucina francese vengono definiti Entremets e prevedono addirittura una figura dedicata nella brigata, lo Chef Entremetier.
Ho seguito quindi le indicazioni riportate nel libro, della mia amata biblioteca, “100 maniere di preparare i trasmessi zuccherati”, pubblicato nel 1907 e, tra una Crema in chicchera ed una Focaccia Guglielmina ho trovato le “Frittate zuccherate”, frittate montate arricchite da canditi, profumate con il rhum, flambate con il kirsch e addizionate di frutta fresca in pezzi, come prugne denocciolate.
Ecco allora la ricetta di oggi, che ho tolto dall’Entremetier ed ho passato al Pâtissier, per offrirvi un flan o meglio un Far Breton aux Pruneaux ricchissimo di prugne, una via di mezzo da una frittata di inizio secolo ed un ancora più antico clafoutis, da degustare tiepido o freddo, con una delicata tazza di tè.
Rispetto sia alle ricette d'inizio secolo che a quelle più recenti, la dolcezza non stucchevole delle prugne Sunsweet mi ha consentito di ridurre la presenza di zucchero nell'impasto senza nulla togliere al risultato finale, anzi.
Perchè è con la dolcezza "buona" che si conquista il mondo (e forse anche la fede)!
R - FAR BRETON AUX PRUNEAUX
Portata: dessert
Dosi per 8 persone
Difficoltà: media
Preparazione: 20’
Cottura: 35’-40’
Ingredienti
400 g di prugne Sunsweet
800 ml di latte
200 ml di panna liquida
200 g di maizena
180 gr zucchero di canna zefiro
5 uova bio
40 ml di Calvados
40 g di burro
1 limone bio
zucchero a velo di canna per il servizio
Procedimento
Portare il forno a 200°, spruzzare le prugne con il Calvados, sciogliere il burro, ottenere dal limone le zeste.
Unire e setacciare maizena e zucchero, mescolare latte, panna ed scorza di limone.
In una ciotola sbattere le uova ed unire gli ingredienti secchi mescolando con una frusta e facendo attenzione a non creare grumi, versare gli ingredienti liquidi con la stessa attenzione.
Distribuire le prugne su una tortiera di 26 cm circa (anche rettangolare) senza cerniera, imburrata con il burro fuso. Io ho utilizzato 3 piccole tortiere vintage svasate (appartenevano al corredo di un monastero di clausura) di circa 14-16 cm di diametro.
Versare il composto liquido sopra le prugne e cuocere nel forno già caldo, statico, per circa 35’: la superficie dev’essere dorata e il flan sodo ma morbido (prova della lama di coltello che deve uscire asciutto).
Sfornare, far raffreddare 5’, sformare e capovolgere: il mio intento è stato
quello di mettere le prugne in bellavista!
Spolverare di zucchero a velo e servire.
Bigliografia
AAVV, Cento maniere di preparare tramessi zuccherati - Società Editrice Sonzogno, 1907
Comune di Venezia, Assessorato al Commercio, L’arte dei Fruttaroli - Ed. Centro Internazionale della Grafica, 1989
Ariel Toaff, Mangiare alla giudìa. La cucina ebraica in Italia dal Rinascimento all’età moderna - Il Mulino 2000
Lilia Zaouali, L'Islam a tavola. Dal Medioevo ad oggi - Editori Laterza 2004
Vittorio Castellani, Il mondo a tavola: precetti, riti, tabù - Einaudi 2007
Massimo Montanari, Il cibo come cultura, Laterza 2007
Joan Rundo, Shalom Salaam: feste e ricette dal Medio Oriente - Ed. Terrasanta, 2011
Un post colmo di cultura. Grazie per tutto quello che ci fai conoscere. Sei un genio, cara Annamaria. GRAZIE.
RispondiEliminaVirginia
Grazie di cuore Virginia! Un abbraccio ed a presto!
RispondiElimina