Il mio rapporto con il vino è sempre stato molto ambivalente. E di pari passo anche il mio rapporto con i cani.
Da piccola ho avuto un setter irlandese, Rex, un animale che da giovane era stato un baldo cacciatore e da anziano girava per casa con l'aria dolce e un po' triste, causata dai ricordi di gioventù e dall'artrosi dell'età, e con un cipiglio come se fosse sempre alla ricerca di un maggiordomo al quale abbaiare qualche mancanza. I ricordi più vividi sono quelli legati al mio ciuccio e al fatto che spesso serviva alla dentizione di entrambi.
Quando morì, mia madre associò alla sua scomparsa anche quella di tutti i microbi che "ovviamente gli animali portano con sé". Non volle saperne di adottare un altro animale, neppure un criceto, un pesce rosso o un canarino. Non parliamo dei gatti per i quali aveva lo stesso affetto che poteva avere Torquemada per le streghe. E io, anarchica celata fin da sempre, riuscì comunque a prendermi la toxoplasmosi a forza di accarezzare tutti i felini randagi del quartiere. Ora in casa c'è Maggie, uno tzunami a forma di pastore tedesco: 30 kg e 9 mesi di dolcezza canina.
Con il vino uguale. A casa se ne beveva normalmente: lo si andava a prendere in damigiana da amici contadini, emiliani e piemontesi, e poi papà lo travasava in bottiglie, operazione che mi vedeva sua aiutante: riluttante per l'odore intenso che si respirava nella cantina buia di casa ed entusiasta per il compito assegnatomi ovvero quello di mettere i tappi e poi la "gabbietta". Tutto rigorosamente a mano e con una certa curiosità da bimba nei confronti di quel liquido rosso un po' dolce.
Una notte, preceduta da giorni di caldo anomalo, improvvisi una serie di botti, come se qualcuno ci avesse dichiarato guerra! Non ci volle molto a capire che il campo di battaglia era la cantina: papà si era confuso con il ciclo lunare e tutte le bottiglie stavano scoppiando! Mi ubriacai solo con l'odore e quel vino dolce mi andò per traverso senza possibilità di appello.
Fortunatamente le cose cambiano e qualche mese fa assaggiai per la prima volta Niades, un Brachetto d'Acqui che avevo portato ad una collega triestina, che sapevo grande estimatrice di questo prodotto creato dall'amico Gianluca Morino. E così, chiedendole in prestito la macchina fotografica, sono nate alcune foto, ispirate sia da una cima abbandonata sul porticciolo che dai comuni ricordi sui bracchetti e sul brachetto.
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Cocomeraville ovvero un brachetto
per amico…in cocktail
Ingredienti (per 6-8 persone)
2 kg circa di anguria in un unico spicchio, 500 ml di Brachetto d'Acqui, 500 ml di Prosecco, 1 lime non trattato, 1
limone non trattato
Procedimento
Tagliare
l’anguria fredda e ricavare con uno scavino o con un porzionatore piccolo da gelato una trentina di palline di polpa, metterle in una terrina di vetro con qualche cubetto di ghiaccio.
Recuperare
la parte rimanente della polpa, tagliarla a tocchetti, frullarla con il mixer ad immersione, passarla al colino cinese così da
ottenere una purea piuttosto liquida.
Nel
bicchiere del frullatore unire il prosecco, mescolare delicatamente con lo stir
(attrezzo usato per mescolare i drink e i cocktail
all'interno del mixing glass o direttamente nei bicchieri) e versare il tutto
nella terrina, dopo aver tolto il ghiaccio.
Aggiungere
il brachetto ben ghiacciato senza mescolare, guarnire con le zeste del
limone e del lime, servire in
bicchieri bassi a tronco di cono (ma io volevo vedere come venivano in fotografia questi appena trovati :)
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