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Pasticcio di Matzà per la Pesach veneziana e la storia delle pulizie di primavera


Pesach (Pasqua) è una delle più importanti feste ebraiche e si festeggia il 14 del mese di Nissan che quest'anno cadrà nel periodo che andrà dal 4 all'11 aprile. A differenza della Pasqua cristiana, i festeggiamenti di quella ebraica durano otto giorni e stanno a significare la liberazione del popolo di Dio dalla schiavitù egizia. Ma non solo. Come accadde anche alle feste pagane pre-cristiane trasformate in momenti di culto e inserite comunque in un calendario dettato dalla stagionalità, anche la Pesach, anticamente, era una festa tutta agricola dedicata alla raccolta dell'orzo.


Ognuno di noi, da bimbo, avrà sentito la mamma pronunciare la famosa frase "pulizie di Pasqua" momenti in cui si apriva la casa alla bella stagione e si tiravano a lucido tende, finestre, pavimenti, divani, stanze ed ambienti esterni, con una veemenza non sempre riscontrabile in altri momenti dell'anno. Non si tratta di virtuosismo ma è semplicemente il bello della contaminazione, soprattutto culturale, che avviene fra civiltà che si rispettano, fra persone intelligenti e tolleranti o semplicemente in pace con sé stesse. 

Secondo la tradizione ebraica, infatti, durante tutta la durata della festa è vietato mangiare o addirittura possedere cibo lievitato (chametz) e per cibo lievitato bisogna considerare qualsiasi alimento che contenga fermenti come, appunto, la pasta di pane o le briciole di esso. Ecco allora la necessità di eliminare qualsiasi residuo o briciola: dentro le dispense, rovesciando le tasche, sbattendo tappeti. Si tratta di una ricerca accurata, da effettuare a lume di candela e con l'aiuto di una piuma così da esser certi di aver svolto un ottimo lavoro. Il lievito infatti, e quindi tutti i cibi che lo contengono, simboleggia l'egoismo che oscura la luce divina e la ricerca quindi del chametz viene vista come un atto che conduce alla pulizia interiore.


Una volta pulita la casa ci si può sedere a tavola per la cena pasquale, (Seder) che si sviluppa con un rituale scrupolosamente dettato dalla tradizione. Le diverse parti della liturgia che verranno recitate durante la serata sono contenute nell'Heggardah (racconto di Pasqua) che permette ad ogni famiglia di raccontare e condividere le vicissitudini legate alla liberazione dall'Egitto.

Al centro del tavolo fa bella mostra di sé un vassoio che contiene una serie di ingredienti che seguono la narrazione: tre pani non lievitati, le azzime o matzah, coperti da un tovagliolo decorato che stanno ad indicare il pane dell'afflizione ma anche della liberazione, una zampa di agnello o un pezzo di carne arrostita, in ricordo del sacrificio pasquale che veniva offerto al Tempio di Gerusalemme, le erbe amare, per non scordare l'amarezza e un contenitore con aceto o acqua salata a ricordo dell'asprezza della schiavitù, un uovo sodo come segno di lutto per la distruzione del tempio ed una composta ottenuta con mele, noci, vino ed altri ingredienti a ricordare infine la malta con cui venivano costruiti i mattoni per il faraone.

A Venezia il vassoio (ke'arah) veniva composto a seconda della provenienza delle popolazioni che vivevano nel Ghetto: gli ashkenaziti o todeschi presentavano pietanze più sobrie a differenza dei levantini che, più ricchi ed eleganti, oltre alla zampa d'agnello, alla lattuga, alle uova sode offrivano l'indivia ed i ravani, il pesce in saor, le melanzane "al funghetto" e tanta frutta secca con il guscio così che nella delicata operazione di romperlo i bambini si mantenevano svegli fino alla conclusione del banchetto.

Il divieto di consumare cibi lievitati ha quindi condizionato molto lo sviluppo dei menù pasquali ma a Venezia non si persero di certo d'animo e nel tempo le massaie riuscirono a produrre piatti unici come Haroseth o marmellata di datteri, mele, prugne, uvetta e noci; il pane azzimo in brodo vegetale servito con un uovo per ogni tre commensali, le famose melanzane alla giudia o "al funghetto", le torte di biete dove le erbette amare di vestono a festa grazie allo zucchero, alle uvette, ai pinoli ed alla noce moscata e le incredibili versioni dei pasticci di matzà, visto che ogni famiglia aveva la propria ricetta "segreta": questa è la mia proposta, un mix di versioni, che prevede l'aggiunta di un po' di  formaggio di capra o di pecora e che, grazie all'uvetta, magari di Corinto, ed ai pinoli, ricorda ancora una volta la bellezza della cucina veneziana e del suo essersi lasciata così deliziosamente, ed intelligentemente, "contaminare".


PASTICCIO DI PANE AZZIMO ED ERBETTE

Ingredienti (per 4 persone)
500 g di erbette
6 fogli di pane azzimo
2 cucchiai di uvetta
2 cucchiai di pinoli 
100 g di pecorino semistagionato
100 g di feta
2 uova bio 
olio evo
sale
Pepe nero
brodo vegetale

Procedimento

In una padella tostare i pinoli e mettere in ammollo l’uvetta.
Accendere il forno a 180°.
In una pentola capiente versare le erbette o biete e una presa di sale grosso e nel giro di 3’ il sale richiamerà l’acqua dalla verdura (osmosi), cuocendola. Togliere dal fuoco, strizzare le erbette e mettere da parte.
Scolare e strizzare l’uvetta e tritare grossolanamente le erbette.
Sbriciolare la feta e ammorbidire i fogli di pane azzimo con un po’ di brodo vegetale.
In una ciotola unire la feta, il pecorino grattugiato, le erbette, l’uovo, l’uvetta e i pinoli e profumare con un po’ di pepe.
Spennellare con dell’olio evo il fondo di una teglia quadrata, stendere il pane azzimo, continuare con metà della farcia, stendere ancora pane azzimo, la farcia e terminare con l’ultimo foglio di pane azzimo, spennellare la superficie con il secondo uovo sbattuto e, se si desidera, distribuire l'ultima cucchiaiata di farcia, e cuocere nel forno già caldo per 30’ o fino alla doratura della superficie.
Sfornare e servire immediatamente con un Nebbiolo Langhe Doc o una Ribolla giovane.

3 ingredienti:

  1. tu sai quanto io ADORI questo genere di post... Grazie!

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  2. Quando storia, tradizione, cultura e intelligente interpretazione-riproposizione di un antico piatto ebraico si uniscono, si compie un importante atto di civiltà e si contribuisce a eliminare barriere e luoghi comuni, allacciare positivi rapporti, aumentare i saperi, compiendo un atto di civiltà, benefico per tutti. Venezia, gli Ebrei veneziani e Anna Maria Pellegrino sono espressione di questa civiltà che caratterizza il nostro mondo, quello che noi vorremmo prevalesse sull'ignoranza, la cattiveria, la brutta interpretazione del Corano e gli altri mali che affliggono il nostro mondo. Grazia Anna maria.

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  3. Ancora una volta la soluzione sta nel dialogo, nel confronto. Tra le persone prima ancora che tra ideologie o religioni. Perché tutto parte da noi. Dalla nostra capacità di confrontarci, di accettare che il mondo non siamo noi, ma è qualcosa di più grande persino del nostro egoismo. E il confronto, lo scambio, la condivisione sono proprio ciò che non vogliono, e combattono con tutti i mezzi, anche i più atroci, gli integralisti di ogni Credo, i fascisti di ogni tipo, gli ignoranti violenti e sanguinari di ogni età, nazionalità e religione. A questa gente, che legge e cerca di scrivere e riscrivere la Storia a proprio uso e consumo, piegando persino i Libri Sacri ai propri ignobili fini, possiamo accontentarci di resistere. Oppure possiamo provare a sconfiggerli. Quello che accomuna gli esseri umani, in fondo, è quasi sempre più di quello che li divide. Occorre saper cercare, guardare e ascoltare. Un po' come ci insegna anche questo post di Anna Maria Pellegrino.

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