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Macafame, Smegiazza e Putana: il mais che diventa polenta dolce per la Giornata Nazionale della Pinza


Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar festeggia oggi la Giornata Nazionale della Pinza grazie ad Erica Repaci, nella settimana degli Avanzi (Ambasciatrice Cinzia Martellini Cortella) e non potevo non dare il mio piccolo contributo.

La "pinza dell'Epifania" è un dolce emblematico di un antichissimo rito che si celebra la sera del 5 gennaio in quelle terre che, per alcuni secoli prima di Cristo, videro la presenza dei Celti e ancora oggi questa veglia illuminata dal fuoco viene vissuta con passione ed attesa, per gli auspici che le faville dei falò possono rivelare ai novelli Druidi. Infatti se il vento dovesse spirare vesto Est al contadino aspetterà un'annata magra mentre se andrà verso Ovest sarà un'annata allietata dall'abbondanza. I "panevin", quindi, devono essere allietati da canti, un modo arcaico di parlare con il fuoco, e naturalmente dalla Pinza, questo dolce povero e ricco a suo modo, preparato con farina di mais, frutta secca, uvetta sultanina, fichi secchi, cedrini e pinoli un dolce insomma "svuota frigo", in realtà una polenta ricca di frutta e semi augurali, a chiudere il periodo delle luci e scaldare il mese più freddo dell'anno, con l'oro del cereale più amato.

Innumerevoli le testimonianze di questo dolce che si possono trovare nei vecchi libri, negli appunti rigorosamente scritti a mano, nella memoria familiare.
Ve ne riporto due: una di Vincenzo Tanara, agronomo emiliano, grande studioso dell'introduzione del mais in Italia, riportata in un suo libro, "Economia del Cittadino in Villa", pubblicato a Bologna nel 1650, e quella di un importante accademico polesano, Girolamo Silvestri, riportata nelle sue Lezioni Accademiche, Della  coltura  e  dei  vari  usi  del  grano  turco,  Lezione  seconda  sull’istesso  argomento per  di’ 15   aprile 1779. 

“I nostri contadini, con minor spesa impastano la farina con lievito, sale et acqua over d'acqua melata, incorporando dentro uva secca, e zucca condita in mele, aggiuntovi pepe, et ne fanno una pagnotta grossa, quale chiamano pan da Natale, alcuni impastano farina con acqua zafaranata, et assai formento, quale con la matterella, o canna a forma si sfoglia assottigliano alla grossezza d'un mezzo dito, poi coperta d'uva secca cominciano a rivoltarla dalla parte più stretta avvertendo d'includer bene dentro la detta uva secca e cosi rivolgendolo fino all'altra parte ne fanno una pagnotta ovata”

“Il pane di mays, e lo stesso è dell’altro, quanto è più duro di pasta, più asciutto e più cotto, come ho avvertito, tanto più si conserva ed è più sostanzioso benché meno accetto all’appetito. Ha anche questa proprietà non comune a tutte le spezie, che, invecchiato, con il rimettersi nel forno un poco accalorato sulla prune (bronze) rinviene e quasi si rinfresca e rinnova. Nel qual incontro, come anche appena tratto dal forno, molti usano, apertolo in due parti, porvi in mezzo del grasso, del burro, dell’olio, de’ pezzi di carne o pesce salato e riesce assai di buon gusto e saporito. Le fettuccie di questo pane sogliono anche friggersi con vari unti e abbrustolirsi un poco sulla bragia. Questo pane, secondo la varia maniera di cuocerlo e di farlo, ha presso di noi vari nomi: pane, pinza, fugazza, zalletto. I contadini v’aggiungono anche quel di coaro. Per pane s’intende quello ch’è più cotto e di più durata e nel nome confondesi con la focaccia. Coaro rusticamente dicesi dai due capi termina in punta e nel mezzo è più grosso della figura quasi d’un fuso, ma di assai maggior mole e appunto anche il nome pinza vien dalle sue punte valendo in lingua italiana pinzo, punta, pungiglione e propriamente significa una forma schiacciata. Da pinza o pinzo, si fa pinzotto, pinzotello e poiché le due punte sono quasi due code, nacqua il nome di coaro. Fugazza poi, correttemente, focaccia, deriva da fuoco e d’ordinario cuoce sotto la cenere e il fuoco ma pur anche nel forno. Finalmente il zalletto che in buona lingua direbbesi gialletto, trae dal colore del suo nome e vale un piccolo pane della fattezza degli altri, per lo più unto di grasso o di burro ovvero con grassoli, o uva o pomi, mandorle ecc. Questi si costumano d’ordinario nelle città e nelle famiglie comode e colte per una spezie di delizia”

Le varianti venete di questo dolce così semplice, più o meno digeribili, sono molte e prevedono una prima cottura nel paiolo e successivamente in forno, coperto dalla cenere e protetto da un “covercio” (coperchio): Pinza de la marantega, Pinza antica, Putana, Smegiazza, Tressian, Macafame dolse tutti votati ad compito davvero arduo ovvero traghettare i festeggiamenti “natalizi” a quelli “carnevaleschi”, dove la farina di mais uscirà dalla Pinza e si trasformerà in Fritole de polenta, Torta sala de frize, Zaleti, Torta sabiosa de farina zala e Polentina zala de Citadela

Ma questa è un’altra storia.



TORTA “PUTANA”

Ingredienti per 10 persone
300 g di farina gialla di mais
150 g di farina di frumento (00)
1 litro di latte, circa
150 g di strutto e 50 di burro
150 g di zucchero
80 g di fichi secchi e 50 g di uva passa
50 g di pinoli e 50 g di cedrini
5 uova e 1/2 bicchierino di grappa
un po’ di pangrattato
un pizzico di sale

Preparazione
Mescolare le due farine e versarle a pioggia in una pentola con tanto latte quasi in ebollizione, mescolando continuamente per impedire la formazione di grumi e cuocere, mescolando continuamente, unire la frutta secca ed i pinoli tostati. 
Quando la polenta inizierà ad addensarsi unire prima lo strutto e metà burro, il resto degli ingredienti e continuare la cottura per circa 20’.
Imburrare una tortiera del diametro di 24 cm, cospargere il pan grattato, versare il composto caldo, livellarlo bene e terminare con i fiocchetti di burro rimasto e con un altro po’ di pan grattato.
Cuocere nel forno statico già caldo a 180°, sfornare, far raffreddare e servire com un buon Recioto.

Per saperne di più
Il Mais nella storia agricola Italiana, iniziando dal Polesine, di Danilo Gasparini
Il Veneto in cucina, di Ranieri da Mosto
La polenta nella cucina Veneta, di Amedeo Sandri
Frumento, riso e mais nel piatto, Storie e ricette dei cereali vicentini, AAVV, Terra Ferma 

9 ingredienti:

  1. Ciao Anna Maria, ho letto attentamente la ricetta... non c'è lievito?

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  2. Dolci poveri di ingredienti ma ricchi di gusto, i migliori!

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  3. Esatto Silvia! Le famose nozze con i fichi secchi :)

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  4. Ciao Anna Maria, mi hai fatto ritornare alla mente quando mia nonna veniva da noi e cuoceva questo dolce sulla "roa" del camino con il "quercio" che ancora ho, la mattina della Befana. Le gironzolavo attorno per vedere cosa faceva e mi lascia darle una mano per i piccoli compiti che potevo fare. Naturalmente la sua ricetta è ben custodina nel mio quaderno.

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  5. Posso immaginare sapore e consistenza leggermente granulosa e sbriciolante, il tipo di dolce povero che io amo e che vorrei sempre trovarmi in credenza.
    Adoro i tuoi racconti Anna. Spero che la Befana ti abbia portato una calza piena di dolcetti perché sei stata una bimba buona.
    Un bacio grande

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  6. Bellissimo leggerti...mi sto divertendo un casino co sto calendario! Sto imparando un sacco di cose e l'elenco dei vari dolci, dei periodi in cui vengono preparati, la frutta secca, gli avanzi, la polenta...magico! Grazie delle informazioni

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  7. "acqua melata"..."acqua zafaranata"...solo i contadini del Veneziano potevano essere capaci di declinare le astuzie dell'intelligenza in modo così raffinato e voluttuoso. D'altronde, la classe non è acqua-e basta :-) e ogni volta che si passa di qui, se ne ha la dimostrazione. Chissà come mai :-)

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  8. I tuoi post sono sempre di livello universitario...sono un'enciclopedia del sapere e della saggezza ! Che bello conoscerti...

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