Se l'uomo è ciò che mangia, il cuoco è ciò che cucina?

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Quinta tappa del #girodeiprimi, l’#Abruzzo: “Sarebbe piaciuto a Suor Intingola" ovvero Ri-ga-to-ni in minestra di lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, Canestrato di Castel del Monte e miele di Stregonia

Ho letto in questi giorni un libro che mi tentava da tempo, "La cuoca di d'Annunzio", trovato dopo lunghe ricerche alla stazione di Firenze. Ci sono dei libri che non amo acquistare grazie alla praticità della rete e più sembra difficile entrarne in possesso e più si accende il desiderio di possederli, come se tra le pagine si nascondessero tracce segrete per una caccia al tesoro immaginaria.
Si tratta di un libro scritto a due mani da Maddalena Santeroni e Donatella Miliani che racconta l'intensa amicizia, lunga quasi vent’anni, casta e colma d’amore e di rispetto, tra il Vate, Gabriele d’Annunzio e Albina Becevello, la cuoca del Vittoriale.


Si erano incontrati a Venezia ed era entrata al suo servizio, seguendolo poi nell’ultimo rifugio di Gardone dove rimase - a nutrirlo e coccolarlo - fino alla morte del poeta, avvenuta nel 1938. Albina lasciò allora il Vittoriale e si ritirò a Brescia, nella casa di riposo delle Figlie di San Camillo, dove morì nel 1940, a 58 anni.
Albina Becevello veniva da un paesino del trevigiano, Paese, appunto, da una famiglia di mezzadri che l’aveva adottata all’età di otto anni. Non si sa molto altro di questa donna se non attraverso la lettura  dei centinaia di bigliettini che le inviava il Poeta ad ogni ora del giorno e della notte, sommergendola di richieste, di frasi affettuose, di filastrocche, di complimenti, di promesse.
Entrando in così profonda intimità con Gabriele ed imparando ad amare la sua indole incredibilmente feconda credo che sarebbe suonato stonato ad Albina sentirsi chiamare per nome o “Signorina” o “Cuoca”. Ed infatti i nomignoli furono moltissimi tra cui «Suor Albina», «Suor Intingola», «Santa Cuciniera», una Dea del focolare per un padrone del tutto fuori dall’ordinario che le confezionava piccoli capolavori letterari ad ogni comanda, come poco prima di un incontro amoroso: “Cara Albina, più tardi avrò una donna bianca sopra un lino azzurro. Le donne bianche dopo gli esercizi difficili, hanno fame. Ti prego di preparare alla Mariona un piatto freddo col polpettone magistrale... La settimana prossima cominceranno i lavori per la Cucina. Avrai una Cucina di marmo e un trono di fuoco». 


Ed infatti la cucina del Vittoriale è un luogo dove sicuramente si lavorava bene: comodo, arredato con gusto, dotato di moderni elettrodomestici, come la ghiacciaia, e di strumenti antichi di cucina, come quello per confezionare gli spaghetti alla chitarra che lui definiva “la chitarra dei maccheroni è una specie di arpa cuciniera a sezione rettangolare e che si suona cole mani in piano orizzontale. Il sistema è monocorde perché le note sono di uguale tono e vibrano facendo cadere tra corda e corda quel caratteristico tipo di pasta ben conosciuta da chi apprezza questo ramo della musica applicata alla gastronomia.”


D’Annunzio alternava momenti di profonda e depressa inappetenza a momenti di morbosa golosità, soprattutto per il cioccolato ed i bon bon che non dovevano mancare mai, e pur non amando la pasta, ritenuta anche da Marinetti e dai Futuristi un piatto che avrebbe condotto l’uomo alla mollezza d’intenti, fiaccandone il corpo, adorava i Cannelloni, una passione smisurata, come si evince dallo scritto che pretende “Molto Cara Albina, mi duole darti un gran dolore. Ma io ho una improvvisa passione per i Can-nel-lo-ni. Bisogna che tu abbia cannelloni pronti in ogni ora del giorno e della notte. Cannelloni! Cannelloni! Gabriel”

Ed ogni piatto ben riuscito scatenava emozioni in versi: «Dilettissima Suor Albina, tu avevi superato tutti i grandi cuochi moderni. Con la perfezione del pollo di Beauvais tu hai superato i più famosi cuochi antichi. Ieri, entrando in me, quel pollo ridiventava angelo, spiegava le ali e si metteva a cantare le tue lodi: Laudate, Ventriculi, Sanctam Albinam, coquam excelsam!». 

D’Annunzio nei suoi incredibili bigliettini si firmava “Il Priore indegno”, “Il Priore in tentazione”, “Il Priore in peccato di gola”, “Il Priore scomunicato” o “Il Frate Gentile” e spesso si scusava con Suor Albina per le nottate spese a prendersi cura di lui e delle sue ospiti, pregandola di riposarsi o di prendersi qualche giorno di ferie. 
La bellezza del loro rapporto, la stima ed il rispetto reciproci, si possono leggere anche in questa filastrocca «A Suor Albina/ che fa la galantina/ e fa la gelatina/ e fa la patatina/ e fa la minestrina/ e il petto d’Agatina, / tutto alla Buccarina,/ con l’arte sua divina!». L’aveva scritta nel 1923, alla vigilia della ricorrenza della Beffa di Buccari.


Mi sono immaginata quindi, ispirata dalla piacevole lettura, di accendere la macchina del tempo e di portare con me una cesta di vimini colma dei tesori che la regione, che ha dato i natali a Gabriele, ha saputo negli anni preservare e trasformare poi nei Presidi Slow Food. Ne ho utilizzati ben quattro per la quinta tappa del #girodeiprimi, dedicata all’Abruzzo e ad un formato di pasta, il Rigatone, che ho subito declinato in Ri-ga-to-ni! Ri-ga-to-ni!, confezionando una ricetta povera a prima vista, con le Lenticchie, il Canestrato e l’aglio di Sulmona, ma nell'insieme resa preziosissima, e ispirata ai colori del Vittoriale, con la morbida presenza del pomodorino confit e con la dolcezza discreta del miele di Stregonia, come è stata la presenza di Albina nella vita del Vate. 

 

“Sarebbe piaciuto a Suor Intingola" ovvero Ri-ga-to-ni in minestra di lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, Canestrato di Castel del Monte e miele di Stregonia.

Ingredienti per quattro persone
280 g di Rigatoni Pasta di Canossa
1000 g di pomodorini datterini 
un bouquet garnì (basilico, maggiorana, rosmarino, alloro, santoreggia, salvia, ecc)
2 cucchiai di zucchero di canna
500 g di lenticchie di Santo Stefano di Sassanio
2 spicchi d’aglio rosso di Sulmona
sale di Maldon
brodo vegetale
Olio extravergine d’oliva Abruzzo Dop
pepe nero cubebe di mulinello

Per il piatto
30 g di Canestrato di Castel del Monte
Miele di Stregonia
qualche ago di rosmarino fresco

Preparazione
Accendere il forno a 130° e cuocere i pomodorini lavati e distribuiti sopra una teglia, coperta con carta forno, per 2h30’ con le erbe aromatiche, sale, olio evo, una presa di zucchero e una macinata di pepe. Sfornare, frullare i 2/3 dei pomodorini e passare la salsa al colino cinese.
In una casseruola in ghisa o dal fondo pesante dorare gli spicchi d’aglio in camicia con un filo d’olio, unire le lenticchie sciacquate sotto l’acqua fredda, far insaporire per qualche minuto, e coprire con circa 500 ml di brodo vegetale mescolato a 200 g di salsa di datterini, portare a bollore, abbassare il fuoco, coprire e cuocere per circa 25’-30: le lenticchie devono cuocere ma non devono perdere la loro compostezza e devono mantenere un aspetto un po’ brodoso. Regolare di sale.
Lessare la pasta in abbondante acqua salata per 7’, scolare e risottare i rigatoni con le lenticchie per 2’-3’.
Servire immediatamente con le scaglie di pecorino, qualche datterino confit, qualche ago di rosmarino e qualche goccia di miele. Si termina con un’abbondante macinata di pepe.


Bibliografia
La cuoca di d'Annunzio, Maddalena Santeroni, Donatella Milano
La grande cucina regionale, Abruzzo e Molise
Le immagini che fanno riferimento al Vittoriale ed agli scritti di d'Annunzio sono tratte dal web

Con questa ricetta partecipo al contest #girodeiprimi indetto da La Melagrana – Food Creative Idea e Pasta di Canossa  

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