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Benvenuta Primavera con il Tiramisù di Casa



Sedetevi al computer e provate a digitare “tiramisù” e vi ritroverete con 59 milioni di risultati. La Gioconda, che è sul mercato da svariato tempo, ne fa cinquanta in meno.
Un successo senza precedenti per un dessert veneto che nel giro di trent’anni è diventato un brand e che inizia dall’umile “sbatudìn”, uova e zucchero montati dalle nonne per i nipotini sfiancati dallo studio e dal gioco: il ricostituente più amorevole del mondo che ogni anno viene festeggiato all’inizio della Primavera.


C’ERA UNA VOLTA LA ZUPPA INGLESE

Per raccontare il fenomeno Tiramisù bisogna partire da lontano. Infatti è uno dei figli di un dolce nato in Romagna, forse alla corte degli Estensi, a Ferrara, diversi secoli fa, una sorta di zuppa inglese, che, con l'arrivo degli austriaci dopo il Congresso di Vienna (1815) copiò alcuni elementi dai dolci viennesi. Nel trevigiano, in particolare i savoiardi, al posto dell’alchermes furono bagnati col caffè, e cosparsi con polvere di cacao.


In Emilia, invece, si ricopriva il dolce di pinoli (da cui, per somiglianza, il nome "Porcospino" ) e un dolce analogo lo preparava negli anni '30 il celebre ristoratore Leone Agnoletti nel suo ristorante di Giavera del Montello (a quel tempo e fin dopo la guerra il più famoso della provincia di Treviso) e lo chiamava anche lui “Porcospino”.


Ranieri da Mosto, elegante patrizio e fine gastronomo veneziano, nel suo “Il Veneto in cucina” (Giunti Editore, 1978) non ne fa menzione, pur elencando dolci oramai scomparsi dalla memoria dei più e nel “Saggi di Cucina Veneta ed accostamenti ai Vini” pubblicato nella primavera del 1979, non se ne trova traccia. 


ll decennio successivo si apre finalmente con due certezze vergate dalla penna di due colonne dell’enogastronomia come Giovanni Capnist e Giuseppe Maffioli. E’ il 1983 e nel “I dolci del Veneto” (Franco Muzzio Editore), si legge “Tirame sù”, definita “recente ricetta veneta” dove tra gli ingredienti compare anche un po’ di panna fresca, appena cinquanta grammi.

IL TIRAMISU’ DI TREVISO

Maffioli presenta la ricetta de “Il tiramesù”, indicandola come quello “legittimo delle Beccherie”, il ristorante ubicato dietro Piazza dei Signori nella cui cucina Lolli “Loy” Linguanotto, giovane pasticcere che aveva lavorato in Germania per un certo tempo, lo preparò per la prima volta. La ricetta è ancora uguale dopo oltre trent’anni: due strati di savoiardi, 30 per strato, imbibiti di caffè e ricoperti da una crema al mascarpone preparata con 12 tuorli d’uovo, 500 g di zucchero e 1 kg di mascarpone. Una spolverata di cacao amaro e voilà, pronto per uscire in sala. La forma tonda, infatti, “tradisce” la sua natura di torta e il servizio con il piatto in acciaio racconta un dessert da ristorazione.

DA TONDO A RETTANGOLARE

Da quella comanda la strada è stata tutta in discesa, varcando monti ed oceani, letteralmente, e diventando un’icona golosa, il dolce moderno più conosciuto al mondo e tradotto in 23 lingue: preparato da Sofia Loren negli studi della CBS con David Letterman e sognato da Bridget Jones per curare le delusioni d’amore.

Si racconta che anche il papa emerito Joseph Ratzinger ne sia particolarmente goloso, ma nella versione con le fragole.


Ma è la ricetta “Tirami su al Philadelphia” scritta da Wilma De Angelis nel suo “Le mille meglio”, edito nel 1988 da Wark Over, che sdogana definitivamente il dolce e ce lo consegna nella versione pop e nella forma rettangolare, quella preparata e servita da tutti noi.

ED ORA ANCHE LIQUIDO!

E un omaggio colmo d’amore quello che è alla base del liquore "Tiramisù di Casa" uscito dalla Distilleria Bonaventura Maschio di Gaiarine, in provincia di Treviso.


Il dolce trevigiano, che abbiamo visto essere nato dal ricostituente più amorevole del mondo, ha ispirato il liquore che recentemente si è aggiudicato il "Premio Innovazione dell'Anno" ai Barawards2021.

E vi assicuro che all’assaggio l’emozione che viene restituita è quella di una cucchiaiata golosa nel dessert più famoso del mondo.


Oggi, primo giorno di Primavera, ho immaginato il Tiramisù di Casa come una coccola golosa: un piccolo bicchierino vintage rubato alla credenza della nonna, una spolverata di cacao, una golosa compagnia mentre ci accingiamo a preparare il dessert che apre la stagione più bella, quella della Primavera.


E come degustarlo ancora? Con una spolverata di cacao, freddo con due cubetti di ghiaccio, caldo con panna e una spolverata di cacao oppure shakerato in purezza o con il caffè.


Buona Primavera a tutti!

Dalla zuppa inglese alla querelle: la vera storia del Tiramisù raccontata da Giampiero Rorato


L’estate porta con sé una serie di classici: i consigli per affrontare il caldo agostano (tra i quali evitare di indossare capi pesanti ed eliminare dai propri menù goulash di montone), i tormentoni musicali (che hanno un’emivita così breve da costringerci a rispolverare per Ferragosto Watussi e Gioca Jouer) e naturalmente le vacanze intelligenti, quasi a voler diluire undici mesi di pirlaggine.

Ma l’estate del 2017 sarà ricordata anche per una singolar tenzone ovvero la paternità del “Tiramisù”, contesa tra due regioni limitrofe, Veneto e Friuli Venezia Giulia, conclusasi con l’attribuzione del PAT (Prodotti agroalimentari tradizionali) del dessert a quest’ultima, proprio pochi giorni fa.

Il caldo si può affrontare serenamente anche grazie al silenzio e al fresco offerti da biblioteche e librerie e, desiderosa di saperne un po’ di più, con lo zaino stracolmo di libri, sono andata a trovare l’amico Giampiero Rorato, giornalista, scrittore e coltissimo enogastronomo.


Buongiorno Giampiero, nel tuo libro “Storie di grandi piatti” in cui racconti leggende e quotidianità di diciassette preparazioni gastronomiche venete, riservi una parte importante al “Tiramisù”, un dessert che in pochi lustri ha conquistato il mondo. Ce ne vuoi raccontare la genesi?

Il fenomeno Tiramisù, vorrai dire! Desidero davvero riassumertelo, anche perché, alle conoscenze attuali, questa è la verità storica.
Il tiramisù è uno dei figli di un dolce nato in Romagna, forse alla corte degli Estensi, a Ferrara, diversi secoli fa, la zuppa inglese, che, con l'arrivo degli austriaci nel Veneto dopo il Congresso di Vienna (1815) ha mutuato alcuni elementi dai dolci viennesi al caffè. Nel trevigiano, in particolare i savoiardi, al posto dell'alchermes sono stati bagnati col caffè, cospargendovi, sopra, della polvere di cacao. Questa è una delle modifiche. 
In Emilia, ad esempio, si ricopriva il dolce di pinoli (da cui, per somiglianza, il nome "Porcospino" ) e dolce analogo lo faceva negli anni '30 del secolo scorso il celebre ristoratore Leone Agnoletti nel suo ristorante di Giavera del Montello (a quel tempo e fin dopo la guerra il più famoso della provincia di Treviso) e lo chiamava anche lui "Porcospino".
Nulla vieta che in altre parti, anche in Carnia, qualcuno facesse un dolce similare oppure che chiamasse "Tirimi-sù" un dolce allo zabaione (proprio perché ricco di calorie). A Tolmezzo il ristoratore che lavorava all'Albergo Ristorante Roma prima di Gianni Cosetti (Cosetti gestì il Roma dal 1970 al 2000) lasciò tra le sue carte un conto nel quale si legge la parola Tiramisù, ma come fosse fatto non si sa
Ho intervistato alcuni vecchi abitanti di Tolmezzo e mi dicono che lì dagli anni '50 si faceva un dolce con l'impiego del mascarpone, ancora non conosciuto a Treviso, poiché un carnico che era stato in Lombardia l'avrebbe conosciuto e lo avrebbe fatto giungere a Tolmezzo. Può essere vero, ma Gianni Cosetti che nel 1995 ha dato alle stampe un suo ponderoso volume intitolato "Vecchia e Nuova Cucina di Carnia" non fa menzione del Tiramisù, né l'accademico e studioso Pietro Adami nelle sue due edizioni del 1985 e del 2009 (arricchita con documenti d'archivio) de "La cucina carnica" (Muzzio Editore), redatte esplorando le valli e i borghi della Carnia, non fa menzione di questo dolce.
Conclusione. nulla vieta che a Tolmezzo in una particolare occasione nel corso degli anni '50 del secolo scorso il cuoco del Roma abbia preparato un dolce chiamandolo Tiramisù, ma in breve tempo la sua memoria era già scomparsa tanto è vero che in Carnia da allora non lo si è più trovato, come attestano Adami e Cosetti.

Quindi Giampiero quanto dichiarato lo scorso 29 luglio in Gazzetta Ufficiale, ovvero l’attribuzione del Pat al Fvg si sofferma semplicemente su delle ipotesi di “nascita” del dessert e tralascia,  volutamente?, la “crescita”.

Infatti il Tiramisù che il mondo ha conosciuto, anche se nel corso del tempo variamente interpretato, è quello realizzato e quotidianamente proposto ai clienti dal ristorante Beccherie di piazzetta Ancillotto a Treviso, fatto conoscere dagli articoli di Giuseppe Maffioli nel 1982.  Il resto è poesia. Come detto, può essere esistito un dessert di questo nome sia a Tolmezzo che a Pieris nel Goriziano, ma non è mai uscito dall’ambito locale e nessuno ne ha mai scritto prima di Maffioli nel 1982.

Sono perplessa Giampiero, alla luce di tali e tanti testimonianze come ha potuto il Veneto farsi “soffiare” il Pat?
Devo tuttavia aggiungere che se la Regione Friuli Venezia Giulia ne ha ottenuto il riconoscimento ministeriale come prodotto tipico proprio, ciò è avvenuto sulla base di poche notizie esistenti, suffragate dal "più grande tiramisù del mondo" realizzato due anni or sono a Gemona del Friuli ed entrato nel Guinness dei primati.
In tutta questa faccenda la Regione del Veneto, titolare per legge dell'indicazione dei prodotti tipici della propria regione, non si è mai veramente interessata di far registrare dal Ministero delle Politiche agricole e forestali questo suo dolce, nonostante il PAT sia stato modificato ben 17 volte. In politica si devono usare le leggi che lo Stato mette a disposizione delle istituzioni locali e dei cittadini, altrimenti è inutile piangere sul latte versato. Sono lacrime di coccodrillo. 


Grazie Giampiero. Non tutti i salmi finiscono in gloria, mi viene da aggiungere. 

Staremo alla finestra del web per assistere l’evolvere degli eventi e nel frattempo un goloso #savethedate: per il prossimo 1^ ottobre 2017 l’Assocuochi di Treviso ha organizzato il “Tiramisuday” che verrà vissuto in tutte le piazze del centro storico della splendida cittadina veneta e il cui programma (qui) si sta arricchendo giorno dopo giorno con la prima gara di Tiramisù fatto in casa dove appassionati non professionisti si sfideranno a colpi di mascarpone e cacao, i laboratori per bimbi (così da abituarli fin da piccoli alla bontà), la sfida delle scuole alberghiere, le degustazioni e i dibattiti, per finire con i cooking show tenuti da cuochi e maestri pasticceri.



Il #tiramisù per il #idic2013: un dolce che mantiene ciò che evoca.

"Oggi è la Giornata Internazionale della Cucine Italiana (IDIC 2013) dove, per la sesta volta consecutiva ci sarà una celebrazione dell'autentica cucina italiana e di qualità a livello mondiale e il piatto ufficiale è il TIRAMISÙ, senza dubbio il più noto tra i dolci della tradizione italiana e quello più diffuso negli ultimi 30 anni, e per questo motivo uno tra i più imitati nel mondo." 
In tutto il mondo, quindi, chef e gastrogaudenti si metteranno ai fornelli, pardon, al banco di lavoro per riprodurre esattamente la ricetta tradizionale, esorcizzando così il taroccamento continuo che il "Made in Italy" è costretto a subire.

Però..si, c'è un però: qual'è la ricetta autentica? Cliccando "tiramisù" la rete è in grado di fornirvi oltre quattro milioni di ricette ed anche io, nel mio piccolo, ho trovato a casa ben 6 libri dove in qualche modo è riportata la tecnica autentica e vi assicuro che ho trovato sei versioni diverse. E se pensate che due libri provengono da due diversi istituti alberghieri credo sia comprensibile la mia perplessità.
Ho pensato allora di fare il bastian contrario e di "taroccare" a mia volta la ricetta preparando un dolce che abbia anche una storia da raccontare, come credo facciano i miei post.


Ma partiamo dall'inizio, ovvero, dalla madre di tutti i Tiramisù: Treviso, città bella e gaudente che ben seppe ispirare il regista Pietro Germi che diresse il film "Signore e Signori". Un piatto nato per mantenere dolci, dolcissime promesse....

Si racconta che un oste, durante una fredda serata di fine '800, realizzò che non riusciva a vendere i panettoni che per primo aveva importato da Milano. E non li volevano neppure le "Signorine" che esercitavano la professione più antica del mondo e che, tra un sospiro ed un bacio, trovavano ristoro nella sua osteria. D'improvviso l'illuminazione! L'oste decide di tagliare a fette i panettoni invenduti, di bagnarli di caffè e di farcirli con una specie di zabaione, ricoprendo poi il tutto con del cacao amaro.
In una notte particolarmente fredda si fermò un noto gentiluomo di Castelfranco per rifocillarsi dopo aver trascorso la serata a teatro a Treviso. L'oste gli offrì la golosa novità e il conte la trovò così corroborante che riuscì a godere della compagnia di alcune signorine fino a quando non fece giorno. Entusiasta, il nobile battezzò il dolce Tiramisù, a ricordo di una notte memorabile.


Un'altra leggenda racconta che il dolce sarebbe nato nel secondo dopoguerra alle Beccherie di Treviso, grazie ad un cuoco davvero estroso. Aveva assaggiato un dolce molto accattivante in Germania e volle rifarlo ma evidentemente esagerò con la carica calorica a tal punto che il dolce venne battezzato "tiramisù". E la sua bontà conquistò il mondo tanto che oggi se ne celebra l'unicità. 

Effettivamente il Tiramisù è un dolce che più o meno tutti sanno preparare e quindi ci saranno innumerevoli versioni anche se, da qualche tempo a questa parte i pasticceri, e gli aspiranti tali con qualche nozione di haccp, prediligono usare tuorli ed albumi pastorizzati, giusto per non trasformare una tale bontà in un portatore sano di salmonella.
Inoltre l'imperante food design predilige la presentazione in bicchierino monoporzione rispetto alla tradizionale pirofila rettangolare che ognuno di noi ha ripulito a ditate nel corso della proprio giovinezza. E ci ha provato anche il signor McDonald's, ma questa è un'altra storia.

Quasi una decina di anni fa, nel ristorante del "mio" chef Carlo Vidali, che poi ebbe il buon cuore di sopportarmi come apprendista-stagista, vidi preparare e presentare un Tiramisù "destrutturato" che Carlo appunto chiamò "Il Tiramisù lo fate voi": al cliente veniva presentato un piatto con caffè, crema, savoiardi e cacao divisi tra loro in modo da poter essere assemblati e gustati secondo il personale estro dell'avventore. 
Ho fatto mia questa presentazione ma non ancora soddisfatta nel voler essere bastian contrario ho optato per le dita di dama preparate con una farina integrale al posto dei classici savoiardi e per la labna al cardamomo al posto del mascarpone. Per una nuova storia da raccontare.


Tiramisù...a sua insaputa

Ingredienti
Per la labna: 500 gr di yogurt tipo Muller, 1 presa di sale, 1/2 cucchiaino di semi di cardamomo.
Per le dita di dama: 3 uova grandi, 85 gr di Petra9 (o farina integrale), 60 gr di zucchero semolato, 1 cucchiaino di zeste di cedro (o di limone), 1 cucchiaino di succo di limone, zucchero a velo.
Per completare il dolce: 2 tuorli, 2 albumi, 30 gr di zucchero, caffè in polvere, 50 gr di cioccolato fondente al 72%.

Procedimento
In una ciotola mescolare lo yogurt con una presa di sale fino e i semi di cardamomo tritati finemente in un mortaio. Mescolare accuratamente e versare in uno stampino forato (tipo quelli che contengono la ricotta) protetto da due fogli di carta casa non trattata o due garze pulite. Mettere questo contenitore in uno più grande che possa raccoglierne il siero e conservare in frigo per almeno 4 ore (fino a 12: più rimane in frigo più si rapprende). Dopo 1/2 giornata si avranno circa 250 gr di labna.

In una casseruola far sobbollire due dita d'acqua e in una casseruola (o bastardella) sbattere metà dello zucchero con i tuorli, il succo di limone e le zeste. Sbattere il composto fino a quando non si sarà schiarito e continuare a montare lontano dal fuoco fino a quando non inizierà a raffreddarsi. Mettere la parte.
Montare gli albumi a neve ferma ma morbida con lo zucchero restante unito un po' alla volta fino ad ottenere un composto lucido.
Unire un po' di albumi ai tuorli ed un po' alla volta unirli tutti facendo attenzione che il composto non si smonti. Unire con una spatola anche la farina con delicatezza, incorporandola tutta. Versare il composto in un sac a poche munito di bocchetta liscia.

Coprire due leccarde (io ne ho utilizzata una e uno stampo da mini bagel) con la carta forno e comporre dei filoncini larghi 2 cm e lunghi 5, distanziandoli fra loro, ricoprirli per due volte di zucchero a velo setacciato finemente e cucinarli nel forno già caldo a 200° per 5 minuti: si devono solidificare ma essere ancora un po' spugnosi al tatto. Togliere le dita di dama dalle leccarde e lasciarle raffreddare sopra una gratella.

Prepare un po' di caffè con la moka, con il pressofiltro, con le cialde: basta che sia buono! Dal cioccolato fondente ottenere con un affilato coltello delle scaglie.

In una ciotola montare due tuorli con 30 gr di zucchero fino ad ottenere un composto chiaro e spumoso, unire gli albumi montati a neve e offrire ai vostri ospiti le dita di dama, il caffè, la crema e le scaglie di cioccolata divisi così che ognuno si componga il Tiramisù come meglio desidera.