"Come nasce una tua ricetta?"
E' una domanda che mi è stata rivolta spesso e che mi ha sempre incuriosita.
Così, un mattino molto presto, mentre davvero tutto il mondo dormiva, sono entrata in cucina, iniziando la giornata con una serie di piccoli riti, irrinunciabili: la preparazione del caffè, l'apertura dei balconi, il saluto all'unico fiore, un esuberante ciclamino, che cresce nonostante me, coccola, biscotto e bacio a Tzunami Meggie, il saluto a piedi scalzi alla terra e lo scambio tra il mio assonnato calore e la sua ritemprante umidità.
Poi ho acceso la radio.
E ho atteso.
Ho aspettato che gli ingredienti, gli strumenti, la vetrina delle caccavelle mi parlassero.
Che i vecchi lini acquistati da una signora francese al mercatino dell'antiquariato confidassero di mani sporche e di labbra sazie.
Che le posate, così altezzose nei loro manici in argento e madreperla, sussurrassero di cristalli colorati e di porcellane trasparenti.
Che tazzine dispari e teiere dal becco sbeccato raccontassero i viaggi fantastici di profumati tè.
"Io ci proverei, a mettere insieme il cappone con la focaccia" sentenzia il cannello in bambù necessario per la cottura in canevera.
"Si, gli risponde la liquirizia, ed io vorrei uno zabaione poco dolce e profumato con uno zucchero dalla pelle ambrata, che mi sappia abbracciare e valorizzare."
"Oggi tocca a me presentare il piatto!" sentenzia il piatto di ceramica inglese, superstite di un sontuoso servizio, che alla fine del '600 sostituì i piatti di legno nelle case della nascente borghesia.
A questo punto entrano in scena matite spuntate e fogli sparsi. E solo dopo la gomma da cancellare. Perché ogni idea, ogni spunto, ogni emozione deve potersi esprimere liberamente, per poi cedere il passo a idee, spunti, emozioni più forti.
La matita iniziava a scrivere, in più fogli, mentre il sole faceva capolino e un nuovo caffè profumava la cucina.
Ma non è la lista della spesa quella che stava prendendo forma né il procedimento di cottura ma il personaggio che di volta in volta racconterà la ricetta, la farà sua, la cucinerà e la condividerà con i lettori. E mi dirà quello che devo fare, quale casseruola utilizzare, quali coltelli affilare e quali ingredienti dovranno essere acquistati o, magari, stanati dalla dispensa.
Ecco perché amo ogni mia ricetta e nel tempo le riprendo, le aggiorno o le stravolgo. Perché crescono, come cresco io.
Si arricchiscono di una consapevolezza diversa, aggiungono particolari al loro racconto, si uniscono ad immagini e suoni in un divenire continuo.
Ecco perché sono da sempre convinta che nel mio blog siano le storie a cucinare le ricette e le ricette a raccontare delle storie.
Ho scritto questo racconto per anticipare una nuova
iniziativa de Il Corriere della Sera, #Storiedicucina, una collana formata da
20 romanzi, biografie e ricettari, vite di leggendari chef e
segreti di grandi autori che dal 29 gennaio vi farà fare un viaggio fra generi e stili diversi accomunati
dalla passione per il cibo. Perchè l'amore fra scrittura e buona
tavola è da sempre una grande avventura.
Apre la collana, curata dalla food
editor di Corriere della Sera Angela Frenda, il libro La parte più tenera
di Ruth Reichl, figura di primo piano della critica culinaria mondiale. Seguono
Un filo d’olio della scrittrice e avvocatessa trasferitasi da Palermo a
Londra Simonetta Agnello Hornby e Julie & Julia di Julie Powell dal
quale è stato tratto l’omonimo film con Meryl Streep e Amy Adams.
Fanno parte dell’iniziativa i libri inediti in Italia tradotti appositamente per Storie di
cucina, Home cooking di Laurie Colwin e Il pedante in cucina di Julian
Barnes. Nella collana molti altri titoli da Il perfezionista di Rudolph
Chelminski ad Afrodita di Isabel Allende, da Pomodori verdi fritti al caffè di
Whistle Stop di Fannie Flag a In difesa del cibo di Michael Pollan. E
ancora La casa nel bosco dei fratelli Carofiglio, I biscotti di
Baudelaire di Alice Toklas, Chocolat di Joanne Harris, Sale e
zafferano di Kamila Shamsie, In punta di forchetta di Bee Wilson, Kitchen di
Banana Yoshimoto, Dolce come il cioccolato di Laura Esquivel, Biografia
sentimentale dell’ostrica di Mary K.Fisher, Le relazioni culinarie di Andreas
Staikos e altri.
E la ricetta? Eccola! (grazie ad Alessandro Scarpa per la foto).
Sformatino di panettone e cappone con zabaione alla liquirizia
Canevera moderna
Dosi
ingredienti e procedimento (per 6 persone)
Pulire
bene 1 cappone, privarlo della pelle e disossare, condizionare in sottovuoto la
polpa di un petto in un sacchetto da cottura con qualche pezzetto di sedano, carota, cipolla, mezza foglia
di alloro, 1 chiodo di garofano 1
bacca di ginepro, 3 grani di pepe Monk e 3 grani di pepe nero di Sarawak, un
minuscolo pezzettino di cannella in canna, ½ arancia e ½ limone bio, ½ granny
smith, un goccio di olio evo, una presa di sale infiocchi e una presa di
zucchero di canna e poco brodo di pollo (tutto questo per ricreare la classica
cottura in canevera in versione però moderna).
Cuocere
a 70 gradi in ronner o a vapore per 2 ore i petti. Stesso procedimento per le
cosce ma aumentando la cottura di un’ora.
Abbattere
in positivo, (con un abbattitore di temperatura o in acqua e ghiaccio).
Così
si ottiene la materia prima per preparare il piatto successivo.
Per lo Sformatino
Ingredienti per 6 persone (diametro
stampo 5 cm)
400
g di latte crudo
200
g di panettone
200
g di cappone. coscia
60
g cucchiai di amido di mais
40
g di zucchero
40
gr di cioccolato al 52%
40
g di canditi (arancia e cedro)
3
uova bio
una
macinata di pepe nero lungo
Procedimento
In un tegame unire il latte crudo
e il panettone frullato, portare a bollore a fuoco moderato stemperando con un
cucchiaio di legno, unire l'amido di mais, cucinare per qualche minuto, togliere dal
fuoco e far raffreddare o abbattere.
Tagliare la carne in piccola
dadolata e il cioccolato a trucioli.
Montare a neve ferma gli albumi.
In una ciotola unire 150 gr di
composto di panettone, 200 gr di gallina, il cioccolato, i canditi, i tuorli.
Mescolare bene, regolare di sale e di pepe nero lungo macinato al momento e
completare con gli albumi.
Versare il composto in cocotte di
porcellana ben imburrate e cucinare a bagnomaria per 30’-35’ nel forno già
caldo a 160° o comunque fino alla doratura della superficie.
Per lo zabaione
Ingredienti
100 g
di passito
3
tuorli bio
25 g
di zucchero muscovado
1
cucchiaino di polvere di liquirizia
1
pizzico di sale di Mothia alla vaniglia (profumazione “casalinga” inserendo nel
contenitore che raccoglie il sale qualche bacca di vaniglia usata in precedenti
lavorazioni).
Procedimento
Unire
tutti gli ingredienti in una bastardella e montare con una frusta a bagnomaria,
avendo l’accortezza di non far bollire l’acqua.
Continuare
a montare il composto sul fuoco in modo che si addensi un po’ alla volta,
facendo attenzione alla temperatura.
Dopo
una decina di minuti il composto dovrebbe “scrivere” e quando raggiungerà i 55°
lo zabaione sarà pronto.
Impiattare versando un po' di zabaione in un piatto "a cappello di prete", adagiare lo sformatino, profumare con liquirizia in polvere, decorare con un alchechengi.
Deliziosa Annamaria la tua storia! Succede anche a me, quando torno a casa da qualche mercatino con qualche ricco bottino per la mia cucina, di pensare alla storia che c'è dietro ognuno di questi oggetti. Alla persone che li possedeva, ai momenti che hanno condiviso insieme in pranzi quotidiani o in qualche cena particolare. Si sa che a tavola succedono tante cose, si discute, si confessa il proprio amore, si litiga e ci si rappacifica...chissà se ognuno di quegli oggetti potesse raccontarci! Per il momento ci accontentiamo della nostra fantasia e già quello è bellissimo! Molto intrigante la tua ricetta!!!
RispondiEliminaUn abbraccio
Sandra
. .. è che leggerti, cosí come sentirti parlare, mette sempre una tale serenità .... le tue storie di cucina sono sempre piene di fascino, qualunque argomento affronti.
RispondiEliminaUn bacio
Pippi
Ecco, quando leggo le tue storie penso che "diventare grande" -nel senso che diamo quando siamo piccoli- significa imparare a sintonizzarsi su frequenze differenti; saper sentire dentro di se tutti quegli che siamo stati in chissà quante vite antiche. Perché è solo così che si riesce a "sentire" le storie che ogni oggetto ha da raccontare.
RispondiEliminaGrazie, un bacio :)
Volutamente,non ho ancora colto occasioni (e sono state tante-TV -video-raduni- show cooking) di sentirti parlare, solo perché adoro leggerti. Che ci posso fare?
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