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Maiale all'aceto di miele, mele e scalogni. E il testamento del porco.

La ricetta del maiale all'aceto di miele, accompagnato da mele e scalogni, è il pretesto per raccontarvi di un testamento. Si, quello del maiale, del quale i nonni ci hanno insegnato non si butta via nulla e che il logorio della vita moderna ha trasformato in un animale formato da un po' di arista, qualche filetto e due o tre costine. 
Come se tutto il resto, quello che scoprirete nel "Testamento del porco", non esistesse più: la vescica, i denti, le setole, la pelle ed infine le ossa. 
Ma io sono rispettosa delle sue volontà e farò come lasciò scritto Grugno Corocotta: "Carissimi miei estimatori e preparatori, chiedo che con il mio corpo vi comportiate bene e che lo condiate di buoni condimenti, di mandorle, pepe e miele in modo che il nome mio sia lodato in eterno."


Il Testamento del porco

Vincenzo Tanara, marchese ed agronomo bolognese, tra il 1664 e 1669 pubblica a Venezia “L’economia del cittadino in villa” (consultabile presso la Biblioteca Internazionale “La Vigna”, a Vicenza), un’opera in sette volumi per la cui realizzazione fu ispirato dal suo soggiorno rurale e dalla conduzione pratica della sua tenuta. L’opera offre infatti per la prima volta una nuova visione dell’agricoltura, votata alle esigenze di mercato ed al profitto e non più alla mera sussistenza.

Tra le pagine scopriamo uno scritto unico, che riprende una filastrocca tramandata nei secoli, dalla quale si evince l’importanza della figura del maiale. 
Si tratta del “Testamento del porco”: Grugno Corocotta, sentendo avvicinare la morte l’affronta, con una certa ironia e chiede allo sguattero Zighittone, che avrebbe assistito alla sua macellazione, di chiamare un notaio dal quale far vergare le sue ultime volontà.

E’ un animale generoso ed accorto, il maiale, e, consapevole del proprio valore, dona ogni singola parte del proprio corpo a chi l’avrebbe apprezzata e valorizzata ulteriormente.


"Prima lascio il mio si da una caterva di golosi con varia cuocitura nel loro ventre sepellito.

Lascio a Priapo (dio della fecondità e degli orti) il mio grugno, col quale possa cavare i tartufi dal suo horto.Lascio a’ librari e cartari i miei maggiori denti, da poter con comodità piegare e pulire le carte.

Lascio a’ dilettissimi Hebrei, dai quali mai ho avuto offesa alcuna, le setole della mia schiena, da poter con quelle rappezzar le scarpe e far l’arte del calzolaio.

Lascio a’ fanciulli la mia vessica da giocar.

Lascio alle donne il mio latte, a loro proficuo e sano.

Lascio la mia pelle a’ mondatori e mugnai, per far recipienti da acconciar i grani.

Lascio la metà delle mie cotiche a’ scultori, per far colla di stucco, e l’altra metà a quelli che fabbricano il sapone.Lascio il mio sebo a’ candelottari, per mescolarlo a metà col bovino e caprino e far ottime candele, con le quali li virtuosi possano alla quiete della notte studiare.

Lascio la metà della mia songia a’ carrozzieri, bifolchi e carrettieri, e l’altra metà a’ garzolari per conciare la canapa.

Lascio le mie ossa ai giocatori, per far dadi da giocare.Lascio a’ rustici, miei nutritori, il fiele, per poter senza spesa cavar le spine dal loro corpo, quando scalzi e nudi nel lavorar la terra gli fossero entrati nella pelle, e per poter senza spesa, in luogo di lavativo, l’indurato corpo irritare.

Lascio agli alchimisti la mia coda, acciò conoscano che il guadagno che son per fare con quell’arte è simile a quello che io faccio col dimenar tutto il giorno la detta coda.


Lascio agli hortolani le mie unghie, da ingrassar terreno per piantar carote.In tutti gli altri liei lardi, presciutti, spalle, ventresche, barbaglie, salami, mortadelle, salcizzutti, salcizze e altre mie preparationi, instituisco cuglio che sia mio herede universale il carissimo economo villeggiante."

La ricetta della domenica è quindi un omaggio alla sua generosità, alla grammatica dei sapori ed alla tecnica: la cottura in cocotte, infatti, mi ha consentito di non usare alcun grasso e di trasformare il vapore generato dalla breve cottura in un fondo deliziosamente aromatico. 
Come sarebbe piaciuto a Grugno.


R- Maiale all'aceto di miele, mele e scalogni

Portata, secondo piatto
Dosi: per 4 persone
Preparazione: 30’ più il riposo
Cottura: 30’
Difficoltà: facile

Ingredienti
  • 800 g di filetto di maiale
  • 100 g di buon lardo, tagliato in 4 fette
  • 3 mele Fuij, piccole
  • 6 scalogni medi
  • 3 rametti di rosmarino fresco
  • 1 pompelmo, il succo
  • miele di agrumi, un cucchiaio
  • aceto di miele Matteo Thun, tre cucchiai
  • sale in fiocchi
  • pepe nero macinato al momento
  • essenza di rosmarino Pri.ma
Home economist: tagliere, coltello Santoku Zwilling Pure, cocotte in ghisa Staub 24 cm diametro, spago da cucina, pinza.
Procedimento
  • Lava ed elimina il torsolo dalle mele (senza sbucciarle), tagliale a metà ed ogni spicchio in tre parti.
  • Monda e taglia gli scalogni a metà nel senso della lunghezza.
  • Mescola il miele con il succo di pompelmo, massaggia la carne, copri con le fette di lardo intervallate dai rami di rosmarino e lega il tutto.
  • Scalda la cocotte, sigilla la carne per bene, compresi i “culetti” del filetto, per circa 10’. Metti da parte.
  • Nella stessa pentola salta mele e scalogni per qualche minuto, fino a farli dorare. Metti da parte.
  • Riporta la carne nella cocotte, sfuma con l’aceto di miele, fai evaporare completamente, unisci mele e scalogni, regola di sale e pepe nero macinato al momento, spruzza l’essenza di rosmarino per tre volte, copri e cuoci per 15’-20’ a fuoco dolcissimo.
  • Fai riposare la carne per 10’ coperta con un foglio di carta d’allumino, elimina lo spago, affetta e servi il tutto con il fondo di cottura che si sarà formato.

Puntarelle marinate con zenzero e sakè. Ed una riflessione sul coltello


Vi è mai accaduto di pensare ad un piatto, come le puntarelle al sakè che vi presenterò oggi, e poi, durante la lavorazione, dar vita a spunti di riflessione che con la ricetta non c’entrano molto? 
A me spesso, come se la frase di Edmund Leach si inserisse in ogni pratica di cucina che svolgo: “Le persone non hanno bisogno di cuocere il cibo: lo fanno per ragioni simboliche, per dimostrare che sono uomini, non bestie”

Il cibo necessita di un approccio complesso e articolato in quanto molte sono le discipline che lo “affrontano” da più punti di vista: storia, sociologia, antropologia, psicologia, economia. E ognuna di queste discipline può ulteriormente approfondire la produzione, i regimi alimentari, i comportamenti di consumo, le pratiche, la simbologia.
E questo vale anche per gli strumenti che si accompagnano alla manipolazione del cibo in quanto troppo spesso ci concentriamo sugli ingredienti i quali però, per essere trasformati secondo i desiderata del cuoco, non possono essere sempre presi a mazzate.

Approfondendo la riflessione di Leach si evince che il cibo, oltre ad essere un elemento di sostentamento del corpo, è anche un mezzo di comunicazione, attraverso il quale si esprimono valori, pensieri, si creano marcatori sociali e temporali, ci si integra o ci si separa.

L’uomo del Neolitico che sbalzava selci ha in sé i prodromi dell’anatomia degli animali che andrà a “porzionare” con lo strumento appena inventato e ulteriormente perfezionato con l’immanicamento. Da questo immanicamento trae origine il coltello.
Si può dire quindi che in principio era il coltello: avere in mano una lama significava poter sfilettare, sminuzzare, sbucciare, cambiare in mille modi la forma e le dimensioni di ciò che la natura metteva a disposizione, ma soprattutto selezionare e organizzare la materia in funzione del suo consumo concreto.
Bartolomeo Scappi (1500-1577), il “cuoco dei Papi” nel 1570 pubblicò il più grande trattato di cucina del tempo, “Opera”. Includeva più di mille ricette, tecniche e strumenti, come i coltelli, suggerendone addirittura gli usi più adatti.


Impara l’arte e mettila da parte, verrebbe da dire
Peccato che le consuetudini gastronomiche che distano da noi migliaia di chilometri, identitarie di culture differenti dalla nostra spesso vengono sentite come qualcosa “contro”, dimentichi del fatto che il tragitto percorso dai Sapiens, che li ha portati a divenire dèi da animali qual’erano è stato il medesimo ed unito da una caratteristica comune, ovvero il possesso di uno strumento rivoluzionario: il linguaggio. Tra l’altro, detto tra noi, eravamo animali di nessuna importanza.

Tagliarsi con un coltello

Ma io volevo parlarvi del coltello, effettivamente, e mi sono dilungata in altro. 
Allora partirò dalla fine del rapporto che ognuno di noi dovrebbe avere con il coltello, un rapporto intenso ed unico, quello del “tagliarsi”, per poi percorrere in post successivi la storia e la geografia di questo strumento così affascinante.

Come evoca Tim Hayward, nel suo incredibile libro “Coltelli” (Guido Tommasi Editore, 2017) “possedere, amare e usare correttamente un coltello significa sentire di aver superato la paura che ti fa, aver imparato a padroneggiarlo. Il taglio diventa un simbolo del delicato confine che si è oltrepassato. In altri settori della nostra vita di solito evitiamo cose che ci fanno male, ma da questo punto di vista il nostro rapporto con il coltello è come quello con un animale domestico di razza o particolarmente amato. Non importa se ogni tanto ci morde o ci da un calcio. Dimostra il suo spirito…è fatto così”.



Ricetta, Puntarelle, essenza di zenzero e arancio dolce, sakè

Per puntarelle si intende una cicoria catalogna che si presenta come un cespo di foglie verde intenso e di forma allungata che racchiude dei germogli gustosi e croccanti. Si possono consumare entrambi.

Portata, contorno
Difficoltà, semplice
Dosi per 4 persone
Preparazione: 20’ più il riposo
Cottura: 10’

Ingredienti 
  • 1 kg di puntarelle, da mondare
  • 2/3 arance non trattate, dalle quali ottenere 100 ml di succo d’arancio e le zeste
  • radice di zenzero fresca, pochi grammi (a gusto)
  • essenza di zenzero bio 
  • essenza di arancio dolce
  • 30 ml di sake
  • olio evo
  • sale in fiocchi
  • pepe nero di Timut
Procedimento
Ne indico due, con e senza essenze: daranno sensazioni gustative ed olfattive diverse, da provare.
  • Monda le puntarelle: elimina le foglie esterne più danneggiate, arriva al cuore del ciuffo di cicoria e troverai un cuore delicato e croccante formato da germogli, le puntarelle.
  • Le foglie tagliale a tocchetti, cucinale per 2’/3’ al vapore e poi saltale in padella con uno spicchio d’aglio: saranno un contorno perfetto e la breve cottura manterrà croccantezza e soprattutto il colore.
  • Taglia invece i germogli a spicchi regolari.
  • In una ciotola mescola succo d’arancia, la radice di zenzero grattugiata, olio e profuma con una macinata di pepe nero. Copri con pellicola e fai riposare in frigo per 30’: una breve marinatura.
  • Trasferisci le puntarelle una padella antiaderente già calda, spadella a fuoco vivace per 2’/3’, sfuma con il sake, unisci un paio di cucchiai di marinata filtrata e cuoci coperto, a fuoco dolce, per altri 4’/5’.
  • Regola di sale e pepe e servi immediatamente, spolverando con le zeste.
  • Il procedimento con le essenze è decisamente più veloce e più concentrato sui sentori aromatici che evocheranno: in una ciotola mescola il sake con 30 ml di olio, spruzza l’essenza di zenzero (in questo caso a gusto, ma ce ne vorranno minimo quattro), unisci le puntarelle cotte al vapore per 2’ (devono rimanere croccanti), copri con pellicola e fai riposare per 20’, a temperatura ambiente, mentre si raffreddano.
Al momento del servizio spruzza l’essenza di arancio amaro e profuma con pepe nero di Timut macinato al momento.

Vellutata di scarti di asparagi, uova al vapore, fragole: un menu vegetariano che sarebbe piaciuto a Petronilla




La cucina in tempo di guerra è un “filone letterario” che prima e durante i conflitti mondiali pubblicò moltissimo e la Biblioteca Internazionale La Vigna di Vicenza ne possiede un’ampia raccolta.
La parola "guerra" è stata sdoganata per raccontare quanto sta accadendo nelle nostre dispense. Ma è un po' eccessivo.

La guerra cucinata da Petronilla

La grave crisi (e l’inizio della storia del debito pubblico), il tracollo economico del ‘29, le sanzioni economiche causate dalla nostra scellerata “impresa coloniale”, le scelte autarchiche e la desolazione del nostro Paese diventato teatro dei conflitti limitarono la disponibilità e l’accesso al cibo, le materie prime che in questi giorni gli italiani stanno acquistando come non ci fosse un domani. Il consolatorio “comfort food”.

Allora era il mercato nero che consentiva una dispensa appena più fornita, oggi solo un po’ di pazienza durante le lunghe code davanti ai supermercati.

In queste settimane il web è stato inondato di tutorial culinari mentre dal 1928 era Petronilla la star assoluta.
Lo pseudonimo nasconde in realtà Amalia Moretti Foggia Della Rovere, nata a Mantova nel 1872 in una famiglia borghese di generazioni di farmacisti, e che si laureò in medicina, una delle prime donne in Italia. 
Si trasferì a Milano nel 1902 (da sola, scandalo!), frequenta un gruppo di donne, le femministe dell’epoca, Paolina Schiff, Alessandrina Ravizza, Linda Malnati e Emilia Maino e divenne medico fiscale alla Società operaia femminile.


Un medico in redazione e tra i fornelli

Inizia a collaborare con la Domenica del Corriere nel 1929, l’anno in cui iniziano le pubblicazioni della rivista La Cucina Italiana, ancor oggi in edicola. 
Agli inizi, con lo pseudonimo di  “Dottor Amal” tiene una rubrica settimanale di  consigli di dietetica e  di educazione alimentare. 
Il successo è immediato tanto che decidono di affidarle, dal 1930, una seconda rubrica intitolata “Tra i fornelli”: decide di firmarsi con il nome di un personaggio dei fumetti, Petronilla.
Il suo approccio con il cibo fu sempre “scientifico” ma mitigato ed addolcito dalle “competenze” femminili. Divenne un punto di riferimento rassicurante, il consiglio di un’amica fidata, la voce autorevole di un gineceo gastronomico. Così, di settimana in settimana, fino alla vigilia della morte, Petronilla, oltre a consigli medici, distribuirà i suoi saperi culinari (oltre 800 ricette e consigli) a un mondo femminile, le casalinghe, destinato a interpretare un ruolo fondamentale  all’interno dell’ideologia e del regime fascista. 

Tale il successo che le ricette vengono raccolte in successivi volumi: Ricette di Petronilla esce nel 1935, Altre ricette di Petronilla nel 1937, Ancora ricette di Petronilla nel 1940. 
Dopo l’entrata in guerra nel 1941 esce Ricette di Petronilla per tempi eccezionali, nel 1943 200 suggerimenti... per questi tempi e Desinaretti per… questi tempi nel 1944.
Così, di settimana in settimana, fino alla vigilia della morte, Petronilla, oltre a consigli medici, distribuirà i suoi saperi culinari (oltre 800 ricette e consigli) a un mondo femminile, le casalinghe, destinato a interpretare un ruolo fondamentale  all’interno dell’ideologia e del regime fascista. 



Ononismo gastronomico

Citando il Prof. Danilo Gasparini “Questa è stata Amalia Moretti Foggia, Petronilla, una donna coraggiosa e prudente, moderata e rivoluzionaria, che a suo modo lottava per l’emancipazione femminile e delle classi popolari. 
A confronto di tanti soloni narcisi che imperversano in rete e in tivvù Amalia Moretti Foggia, pardon Petronilla, anche solo sul piano culinario, è stata ed è un gigante.”.


Ecco allora la mia proposta di un pranzo della domenica: quasi un omaggio al “cucinare con quello che c’è”, del riciclo e della tecnologia in cucina, grazie all’utilizzo del vapore e della vecchie pentole in ghisa, con i colori ed i sapori della Primavera, ai tempi del #covid19: vellutata di scarti di asparagi, uova e asparagi al vapore, fragole al miele.



R - VELLUTATA DI SCARTI DI ASPARAGI CON PANNA ACIDA

Portate: primo piatto, secondo piatto, dessert
Dosi per 4 persone
Difficoltà: minima
Preparazione: 40’

Ingredienti
1 kg di asparagi verdi, gli scarti di lavorazione
200 g di patate farinose
100 g di cipolla bianca
1 limone, succo e zeste
panna fresca
sale
pepe nero macinato al momento
brodo vegetale

Procedimento
Pulisci con un pelapatate gli asparagi (ricchissimi di calcio e fibre), spezza con le mani la parte finale, para con il coltello così da renderli della stessa lunghezza, sbuccia e cubetta le patate, monda ed affetta finemente la cipolla.
Trasferisci tutti gli ingredienti in un forno a vapore e cucina a 100° per 10’ oppure in una pentola di ghisa, coprendo bene gli ingredienti a filo con il brodo vegetale e cuocendo coperto per 15’.
Nel frattempo mescola qualche cucchiaio di panna fresca con le zeste e il succo del limone.
Con un mixer ad immersione frulla gli ingredienti aggiungendo un po’ di brodo vegetale caldo, regola di sale e dividi in fondine individuali.
Servi con un cucchiaio di panna acida e una macinata di pepe nero di Timut. 

R - UOVA E ASPARAGI AL VAPORE

Ingredienti
1 kg di asparagi verdi, gli scarti di lavorazione
4 uova
sale in fiocchi
pepe nero macinato al momento
olio evo

Procedimento
Distribuisci gli asparagi in una teglia forata.
In un’altra teglia disponi 4 piccole ciotole o stampini individuali in porcellana e rompi in ciascuno un uovo (tante proteine nobili concentrate in poche calorie!)
Imposta il forno a 100 gradi e cucina gli asparagi per 4’.
Servi gli asparagi condendoli al momento e l’uovo direttamente nello stampino 
Se invece hai un po’ di tempo in più a disposizione puoi lavorare gli ingredienti in due momenti diversi, come nel modo seguente.
Copri con della carta assorbente una teglia di acciaio, distribuisci due uova per commensale ed imposta il forno a #vapore: 65 gradi per 40'. Trasferisci le uova in una ciotola con acqua fredda e ghiaccio.
Ora imposta il forno a 100 gradi e cucina gli asparagi per 4'.
Distribuisci gli asparagi nei singoli piatti, spennella con dell'ottimo olio evo, schiudi le uova pochè e posizionale sopra le verdure, spolvera di sale in fiocchi e pepe.

R - FRAGOLE AL MIELE, PANNA E PISTACCHIO

Ingredienti
1 kg di fragole
2 cucchiai di miele, quello che preferisci
1 cucchiaio di pistacchi tostati
qualche cucchiaio di panna fresca
1 cucchiaio di zucchero a velo

Procedimento
Monda e taglia a spicchi le fragole (ricchissime di vitamina C, di fibre e poverissime di calorie), trasferiscile in una ciotola con il miele e lascia riposare al fresco fino al momento del servizio.
Monta la panna fresca con lo zucchero a velo e trita finemente al coltello i pistacchi.
Servi le fragole in ciotole individuali con panna e pistacchi.



Risotto all'Amarone con mele Renette e zucca per Staub e Zwilling, per la Festa delle Mele.


Mel è un piccolo gioiello nel bellunese circondato da boschi e monti e da qualche anno a questa parte la Proloco locale ha dato vita ad una manifestazione davvero golosa, soprattutto se si amano le mele: www.melemel.it.

Mele a Mel, appunto, è l'occasione di scoprire non solo le eccellenze di ben 100 produttori ma anche i gioielli del centro storico e gli antichi mestieri, oltre a tutta una serie di appuntamenti che vedono nel frutto preferito da Biancaneve la protagonista assoluta.

In questo quadro mi inserisco anch'io con un cooking show, in collaborazione con le  colorate ghise di Staub, tutto dedicato alla mela ed alla sua estrema duttilità in cucina: verrano presentate una serie di ricette golose e profumate e una di queste sarà sicuramente il risotto all'Amarone. Ma per scoprire le altre vi invito a Mel, il prossimo fine settimana, nel punto vendita di Mirella d'Incà.

Vi aspetto!


Risotto all’Amarone con mele Renette e zucca

Ingredienti
240 g riso carnaroli, 150 g zucca gialla, 2 mele Renette, 300 ml di Amarone, 2 scalogni, burro chiarificato, parmigiano reggiano, brodo vegetale, sale e pepe nero macinato al momento.

Procedimento
Mondare la zucca della scorza e dei semi interni, tagliare la polpa in un concassè di 2x2 e mettere da parte.
Mondare gli scalogni, stufarla nella casseruola con una noce di burro ed unire la dadolata di zucca. Unire un paio di cucchiai di brodo vegetale caldo e farla ammorbidire a fuoco dolce.
Mondare le mele, privarle del torsolo e tagliarle in tocchetti regolari, unire alla zucca e continuare la cottura per altri 5’.
Versare il riso, aumentare il calore, unire il vino e sfumare. Continuare la cottura con il brodo caldo.
Togliere dal fuoco, regolare di sale, mantecare con il parmigiano e il burro restante. Lasciar riposare coperto per 2’ minuti e servire immediatamente con una macinata di pepe profumato e, se lo si desidera, con qualche cialda di mela essiccata come decorazione.


Trovo molto interessante l'altrui parte intollerante....ed un fish and chips "eretico"


...che mi rende rivoltante, tutta questa bella gente."
Fa così una famosissima canzone dell'autore e  rapper di Molfetta, CapaRezza, pubblicata nel 2006, che racconta la storia di un adolescente alle prese con i propri compagni di classe, identificati in una serie di stereotipi, soggiogati dal dio logo, dalla violenza fine a sé stessa, dal rifiuto del diverso dove, per diverso, si intende tutto quello che non è sé.

Analizza i comportamenti dei propri coetanei, ridicolizza certe affermazioni "Meglio depressi che stronzi del tipo Me ne fotto, perché non dicono Io mi interesso?", consiglia di non esagerare perché "chi è mansueto come me sa che quando le palle si fanno cubiche, come un kamikaze che si fa di sakè metto a fuoco intorno a me" e anticipa scenari alla mors tua, vita mea quando afferma "ma sappi che se mi provocherai sono guai, Dottor Jackill diventa Mr Hide e ti ammazza stecchito col Raid".


La Treccani così spiega alla voce intollerante: agg. [dal lat. intolĕrans -antis, comp. di in-2 e part. pres. di tolerare«tollerare»]. – Che non sa e non è capace di tollerare, insofferente, impaziente.
In questi ultimi mesi ho avuto il piacere di incontrare molte persone che considerano come me il cibo con passione, entusiasmo, gioia e rispetto. Soprattutto un “sapere” da condividere.

La giornata vissuta domenica a Milano in occasione del primo Snello BlindBox e poi ieri sera a Roma, presso il Museo di Arte Orientale, per “A Cena con gli Ottomani” sono stati momenti di pura contaminazione, soprattutto mentale. Poi, questa mattina, la lettura dell’articolo di Stella, circa il suocero che fa causa alla nuora perché non prepara gli agnolotti secondo tradizione (quale?), mi ha ulteriormente aperto gli occhi: non è intolleranza, è ignoranza. Nel senso etimologico del termine ovvero “ignoro, non conosco” ma soprattutto secondo l’estensione: ignorante agg. e s. m. e f. [dal lat. ignorans -antis, part. pres. di ignorare «ignorare»]. – b. Privo dei principî della buona educazione, villano.

A che cosa mi riferisco? Ad una serie di polemiche feroci, nate in rete, legate ad una ricetta tipica della tradizione pugliese, la Tiella sulla cui preparazione è nato un vespaio.
Preciso che le critiche vanno sempre accettate, per quanto possano essere fastidiose, per aprire ad un contraddittorio costruttivo ma la polemica fine a sé stessa, la feroce ironia, la cattiveria palese e le offese velate sono espressioni davvero ridicole. Cazzeggio, alle volte un po’ isterico.
Sono state fatte gravissime affermazioni che non corrispondono alla “verità”!! 
Ma stiamo parlando di un pezzo della Gabanelli o di una ricetta? Della formula scoperta da Einstein o della difesa ad oltranza di un campanile?

Quando Caterina de Medici andò sposa ad Enrico duca d'Orleans portò alla corte francese un nutrito gruppo di collaboratori: dame di compagnia, governanti, cuochi e pasticceri fra cui Ruggeri, il famoso inventore del “Ghiaccio all’acqua inzuccherata e profumata”, ovvero il gelato. A Firenze si preparava una salsa fatta con farina che veniva chiamata “salsa colla” che a distanza di qualche lustro venne rielaborata nella universalmente conosciuta salsa à la Bèchameil. E come la mettiamo? Come mai Firenze non ha ancora dichiarato guerra a Parigi? O il signor Bèchameil non è ancora tornato dal regno dei morti per eliminare Michel Roux o Montersino che la preparano, ereticamente, a modo loro?

Da non dormirci alla notte...


Vorrei chiudere con un sorriso, magari come semplice contrazione muscolare.
Subito dopo la conferenza tenuta dalla prof.ssa Maria Pia Pedani su come si è evoluta, contaminandosi, la cucina Ottomana, l’Ambasciata della Repubblica Turca ha offerto una coloratissima e profumatissima cena grazie ai piatti tipici preparati dallo Chef dell’ambasciata medesima.
Era presente una persona che ovviamente si è sentita in dovere di far sapere alla maggioranza dei presenti che lei sapeva tuttotuttotutto della cucina ottomana, snocciolando viaggi, ristoranti, hotel, degustazioni, ricette. Correggendo, dall’alto della sua infinita sapienza, qualunque tentativo di altrui intervento, e tutto ciò dinnanzi allo Chef che, imperturbabile, chiudeva gli occhi ed annuiva, sorridendo, anche dinnanzi ad un paio di palesi castronerie della signora medesima, sotto un bel paio di ottomani baffoni neri.

Vi lascio con un ricetta eretica: un fish and chips che viene dalla laguna in versione "scartosso" con castraure, piccoli carciofi e gamberoni (ma se trovate le "schie" ovvero i gamberi piccolini, è ancora più buona) perchè, come chiude CapaRezza nella sua canzone con la quale ho iniziato questi miei pensieri, preferisco, alle polemiche, di gran lunga cantare che "Alle bestie regalerò i miei sorrisi come Francesco d'Assisi e Pippi Calzelunghe." 




Scartosso di Castraure e Gamberi e Mazzancolle (e schie, volendo)
Ingredienti (per 4 persone)
1 kg di castraure o piccoli carciofi, 800 gr tra gamberi e mazzancolle o gamberi e schie (piccolissimi gamberi), 1 limone bio, olio evo leggero o di semi per friggere, pepe nero macinato al momento, sale in fiocchi nero, carta paglia o simile per confezionare i scartossi ovvero i coni che conterranno il tutto.

Procedimento
Mondare i carciofi delle foglie esterne più dure e tagliarli in spicchi sottili, immergendoli in una ciotola di vetro o di ceramica piena d'acqua fredda acidulata con il limone.
Pulire i crostacei, sciacquarli ed asciugarli bene con carta casa. Ripetere l'operazione con gli spicchi di carciofi e mescolarli.
Portare a temperatura un po' di 'olio in un wok in ghisa Staub e friggere velocemente, asciugare dell'olio in eccesso, profumare con un po' di pepe macinato al momento e del sale in fiocchi e servire all'interno di coni di carta paglia o altra carta per alimenti.