Se l'uomo è ciò che mangia, il cuoco è ciò che cucina?

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Happy Birthday Ale!


«In quella stanza così stranamente arredata, un uomo sta seduto su una poltrona zoppicante: è di statura alta, slanciata, dalla muscolatura potente, dai lineamenti energici, maschi, fieri e d’una bellezza strana. Lunghi capelli gli cadono sugli omeri: una barba nerissima gli incornicia il volto leggermente abbronzato. Ha la fronte ampia, ombreggiata da due stupende sopracciglia dall’ardita arcata, una bocca piccola che mostra dei denti acuminati come quelli delle fiere e scintillanti come perle; due occhi nerissimi, d’un fulgore che affascina, che brucia, che fa chinare qualsiasi altro sguardo.»

James Raffles alzò gli occhi dal libro che stava leggendo e osservò soddisfatto lo skyline che si allungava oltre le sue lunghe gambe modellate da anni di atletica.
Si, poteva essere soddisfatto. Soprattutto di sè stesso.
La città aveva superato brillantemente la crisi finanziaria che dall'altra parte del Pacifico aveva decimato squali abituati a nuotare con la corrente a favore. 
"Ma io sono stato più abile!" e con un movimento felino si alzò dall'avvolgente Barcelona, sorridendo al fedele Arthur che come ad ogni imbrunire lo viziava con un Martini magistralmente miscelato.
"Il Prefetto ha chiesto di Lei" lo avvisò il maggiordomo. "E' nello studio bianco: lo vuole ricevere?"
"Certo Arthur! Non possiamo far aspettare il nostro Ospite. Mesi fa gli avevo dato indicazioni ben precise circa le modalità di svolgimento del Festival del cibo e verrà semplicemente a relazionarmi." Il maggiordomo uscì dalla stanza senza replicare e mentre James sorseggiava il suo drink uno strano brivido gli gelò la schiena dalle ampie spalle.
Eppure...


Il Prefetto entrò senza essere annunciato, quasi trafelato. L'umidità di una primavera stranamente calda aveva appiccicato ad un torace senza forma la camicia in lino di fattura italiana. Si terse il sudore con il fazzoletto candido e rimase in piedi, con la giacca ben piegata sul braccio sinistro, come uno scolaretto in attesa di essere interrogato dall'insegnante che ben conosceva le sue mancanze.
"Sir Guillonk, dopo tanti anni non si è ancora abituato al nostro clima" lo accolse James con un sorriso quasi beffardo. "Posso offrirle qualcosa da bere? chiese senza attendere risposta, versando il solito doppio whisky torbato senza ghiaccio. Che fu bevuto tutto d'un sorso, come avrebbe fatto un naufrago dopo giorni trascorsi in balia delle onde e della sorte.
Un secondo brivido segnò la schiena e la tranquillità di James.


Il Prefetto, animato dall'alcool, si dimostrò un fiume in piena. Raccontò quanto aveva vissuto nei mesi precedenti, della donna italiana che giunta all'inizio dell'anno in città gli aveva causato una marea di problemi che neppure Sandokan ai tempi di suo bisnonno, e che aveva trasformato il comitato organizzatore del Festival del cibo di Singapore in una specie di collettivo femminile, refrattario a qualsiasi ordine o disposizione, di cui aveva letto qualcosa, da giovane universitario, nei manuali di sociologia che tanto impazzavano nel campus durante gli anni '80.
James ascoltava sgomento 
"Ma chi è, chi è questa donna?!" urlò furibondo. "Voglio il nome!"
"La chiamano la "Perla di Belin" e l'intelligence sta producendo dossier su di lei e sulle aderenti ad una strana setta italiana dal nome inglese, l'Mtchallenge. Purtroppo anche dalle intercettazioni non si capisce molto. Comunicano con una specie di linguaggio, una sorta di codice Enigma che si ispira all'enogastronomia. Di più non so dirle".
"Ma tutto ciò è pazzesco! E come spiega il fatto che in questi mesi non siete riusciti a fermarla?!" esclamò James, sempre più esasperato.
Il Prefetto abbasso il capo, balbettando scuse, che non interessavano a nessuno.
James alzò lo sguardo mentre il cielo si tingeva di rosso. Andò al mobile bar e si preparò un drink rabbioso che bevve senza goderne.
Alzò il bicchiere vuoto e brindò a quella donna che l'aveva vinto senza averlo mai sfidato.
"Hai vinto Perla di Belin. Il Festival del cibo di Singapore è tuo."

Buon Compleanno Alessandra :)



Funeral Pie (ricetta di Alessandra Gennaro, leggermente modificata)
Ingredienti (per 8 tortine da 8-10 cm di diametro)
Per la frolla:
250 g di farina debole
125 g di burro
20 g di zucchero
40 g di acqua a temperatura ambiente
1 uovo bio
1 pizzico di sale
la scorza di un limone bio

Per il ripieno:
300 g di uvetta non reidratata
500 g d'acqua
80 g di zucchero di canna muscobado
100 g di zucchero semolato aromatizzato alla vaniglia
50 g di amido di mais
50 g di burro
1 cucchiaio di aceto di mele
1 cucchiaino di cannella in polvere
1 cucchiaino di coriandolo in polvere
1 cucchiaino di zenzero in polvere
un pizzico di sale ed una macinata abbondante di pepe nero lungo
1 tuorolo ed un po' di latte per la cottura.

Procedimento
Impastare la frolla impastando velocemente gli ingredienti a temperatura ambiente. Formare un panetto, inserirlo all'interno di un sacchetto abbatterlo o farlo riposare in frigo per almeno un'ora.
Nel frattempo, preparate il ripieno
In una casseruola in ghisa unire l'uvetta e 350 g di acqua, portare a bollore e cucinare a fiamma media per  5 minuti.
In una terrina, unite gli zucchero, l'amido, le spezie ed il sale, aggiungete l'acqua restante e mescolate velocemente, fino ad amalgamare tutti gli ingredienti.
Versare questo composto nella casseruola e mescolare continuamente, portando a bollore a fiamma dolce. Unire
aggiungere l'aceto e il burro e mantenere sul fuoco fino a quando il burro si è completamente sciolto. Abbattere e mettere da parte.

Stendere la frolla e foderare le mini tortiere da pie precedentemente oliate, bucherellare la superficie e mettere in abbattitore per 20' sia le tortine che la pasta frolla avanzata.
Dividere la farcia, riempire le tartellette, spennellare i bordi con il tuorlo d'uovo e coprire con la frolla avanzata e stesa abbastanza sottile. Rimettere in abbattitore ed accendere il forno statico a 180°.
Spennellare la superficie con il tuorlo mescolato ad un paio di cucchiai di latte, inciderla con 3 piccoli tagli e cuocere per circa 25', facendo attenzione che la frolla non si scurisca troppo. Altrimenti coprire con un foglio di carta alluminio.
Sfornare, abbattere e servire a temperatura ambiente con una tazza di buon tè (consiglio, al bergamotto).


Plin plin Tortellin! Si, ma con gelatina di mosto d'uva bianca allo zenzero, con tè nero Coquelicot Gourmand e riduzione di succo d'arancia



Confesso che ci avevo provato a farcire i plin secondo le ferree indicazioni di Elisa, avendo avuto molteplici ispirazioni: l'oca in onto del ghetto veneziano e della corte padovana, il petto d'oca con le bacche per salutare l'estate, la spalla di maialina marinata con le foglie di vite americana, scoperta nell'ultimo cookingshow dedicato alla vendemmia. Ma la luce settembrina, che sa avvolgere all'improvviso con i suoi toni così caldi ed eleganti, mi ha dato altre ispirazioni: languide, lente, zuccherine. Come i fichi e la zucca, come i chicchi rubati al grappolo, come le prime tisane.



Ed avevo voglia di tè, che per me significa passare dall'estate all'autunno: così ne ho scelto uno scoperto da poco ed incredibilmente profumato; i suoi sentori rimandono ad un dolce orientale, con le note raffinate di mandorla ma soprattutto di papavero, petali di peonia rosa, mirtillo e biscotto. Ed è un tè che "suona"! Provate a pronunciare a voce alta Coquelicot Gourmand: tintinna come un braccialetto carico di charms e regala un sorriso. Insomma, mi sono messa fuori concorso da sola, ma spargendo sorrisi e profumi. Come Pippicalzelunghe :)



Componendo il piatto, inoltre, mi sono resa conto che durante il mese che sta volgendo al termine non avevo fatto in tempo a compilare la Mtc-Classifica (che, ad onor del vero, avevo iniziato una sera per poi terminare quasi subito, in un sonno catatonico tra il computer, tablet e smartphone in riserva di energia e la gatta spazientita da tutta quella tecnologia sopra il suo letto!) e quindi quale migliore occasione? Il post della disfida del tortellino plin-plin avrebbe suonato. Si, una cosa tipo, "Spadellala ancora, amp".



Così sono andata alla ricerca di tutte le pubblicità dei tortellini che la rete poteva mettere a disposizione per scoprire che, a parte l'energetica e quasi militare canzone dei "Tortellini Fioravanti", l'ambientazione era quasi sempre lenta e melodica come se la lentezza e la concentrazione che impone la preparazione di questo piatto avesse ispirato anche le agenzie di pubblicità.

Primo piano rallentato e Madama Butterfly per "Selezione Fini", come ad evocare leggerezza ed eleganza anche se, pensandoci un po', non è che l'opera finisca un gran che bene per la Signora.

Più global, anzi globtrotter visto la costante presenza del patron dell'omonima azienda, la scelta musicale di Giovanni Rana: si va dalla voce jazz di Francesca Sortino in "Kiss me", all'allegrissima "Sunny day" di Joy Williams per terminare con la patriottica "Lasciatemi mangiare/con la forchetta in mano/lasciatemi mangiare/pasta fresca piano piano" dove Toto Cotugno impazza alla grande. Ma solo per il pubblico tedesco :)

La canzone più bella che racconta di un tortellino è certamente quella cantata da Massimo Bortolutti dove "il tortellino di Bologna/con il brodino e senza panna/una specie di cuccagna/come andare in gita!", nella 51esima edizione de "Lo Zecchino d'Oro".




In verità nulla che mi ispirasse veramente...bisognava tornare ai "dolci" anni '80! 
Ecco quindi la mini-compilation per accompagnare il pentagramma dei sapori che avevo in mente: "Sweet Dreams", Eurythmics e la versione dance di la Bouche (perchè al cubo non si può dire di no) per terminare con l'unica canzone che ha davvero plinato con me "September - David Sylvian". Una Voce che sa sciogliere qualsiasi tensione, come "scioglievole" è il ripieno di questo plin.




Plin morbidi al mosto bianco aromatizzato allo zenzero con tè nero e riduzione di arancia


Ingredienti
Per la pasta
130 g farina per pasta (Petra per pasta), 2 tuorli bio, 1 uovo bio intero, 10 g zucchero, 1 pizzico di sale.

Per il ripieno
250 g mosto d'uva bianco d’uva bianca, 1 cucchiaino di agar agar, il succo di due arance, una bustina di tè Coquelicot Gourmand di Damman, 1 cucchiaino di zenzero in polvere.

Per il piatto
Zucchero di canna, un po' del contenuto della bustina di tè messo da parte prima dell'utilizzo, un cucchiaio di uvetta sultanina ammollata per qualche minuto nel tè.




Procedimento

Portare a bollore a fuoco medio il mosto d'uva con lo zenzero, sciogliere l’agar agar in qualche cucchiaio di acqua fredda, aggiungere al mosto, mescolare bene e far bollire per due minuti. Versare in un contenitore rettangolare in modo da stendere il composto e renderlo alto 1 cm così da tagliarlo in dadolata una volta rappreso. Mettere in abbattitore.

Impastare gli ingredienti per la pasta, far riposare 20 minuti, stendere sottile e formare i ravioli utilizzando come ripieno un cubo di gelatina di mosto d'uva e cospargerli di semola.

Ridurre il succo d'arancia in un pentolino con la punta di un cucchiaino di fecola e abbattere per qualche minuto.

Lessare i plin in acqua bollente salata nella quale è stato versato il tè in foglioline per 2' (avendo avuto l'accortezza di toglierne un po' per far ammollare ed aromatizzare l'uvetta) e spadellarli per qualche secondo con i 2/3 della riduzione del succo d'arancia.

Comporre il piatto: spennellare con il succo d'arancia la superficie centrale del piatto su tutta la lunghezza, disporre i plin alternati ai chicchi di uvetta, decorare con qualche cristallo di zucchero di canna e con i fiori essiccati di peonia rosa e di foglioline di tè nero.


Quaglia con mele e Calvados: un risotto che sfrizzola il velopendulo.

Vi ricordate la pubblicità della WcNet degli anni '80? 
"Luisa inizia presto, finisce presto e di solito non pulisce il water!" affermava un'energica governante ad una stupefatta signora.
"Non lo pulisce?!?"
"No!! Perchè nel water ci mette una forza attiva!" continuando a parlare in terza persona.
E una successiva zoomata sulla prima tavoletta detergente profumata per wc fece scoprire alle consumatrici un nuovo oggetto del desiderio che, a distanza di 30 anni, sembra sempre essere stato nelle nostre case, pardon, nei nostri water.

La pinza trevigiana

Pinza trevigiana

Il bello della tradizione gastronomica di una regione è che può annoverare tutto ed il contrario di tutto, proprio in nome della tradizione!
Basta spostarsi di pochi chilometri da un determinato luogo per trovare una giustificazione più che argomentata sull'aggiunta o meno di un ingrediente o sull'allungamento di un tempo di cottura, dando vita così ad un disciplinare "moderno" e nel contempo "di antica data".

Altro argomento sul quale riflettere è la capacità tutta femminile di fare le nozze con i fichi secchi in cucina, soprattutto in concomitanza di precetti religiosi da rispettare che poi vengono dritti dritti dalla cultura contadina e prima ancora dall'edonismo gastronomico dei nostri progenitori, etruschi o greci che dir si voglia.


Ho il seno a forma di cipolla. Fa piangere.

L'ho detto!! Ognuna di noi ha le sue insicurezze ed ha una parte del corpo (o molteplici) che proprio non riesce a farsi piacere. Siiii, è vero, tutti a dire che "non saranno mica belle le donne corrette al silicone, tutte uguali, senza personalità". Ma io non ho detto che voglio farmi un tagliando utilizzando una pistola di Saratoga, ma che sarebbe carino che mi venisse restituito ciò che avevo un tempo.

"E poi cosa te ne fai delle tette? Con il tempo cadono." E perchè dovrebbero cadermi? Non sono mica così distratta. E comunque le ho avute per un bel po' e non le ho mai perse." Ed hanno avuto anche il loro momento di gloria, durante l'allattamento, quando non riuscivo a vedermi le scarpe ;))
Ho pensato a loro, mentre preparavo queste fantastiche cipolle di Acquaviva, ed al cartello che potrei mettermi al posto del reggiseno: "torniamo subito"!

Cipolle di Acquaviva alla Veneziana

Ingredienti
4 grosse cipolle di Acquaviva, 40 gr di uvetta sultanina, 30 gr di uvetta di corinto, 50 gr di pinoli, un bicchiere di vino bianco ed uno di aceto di vino bianco, salsa di soia e pepe nero macinato al momento, olio evo.

Procedimento
Mettere in ammollo l'uvetta e tostare per 15' i pinoli nel forno a 120°.
Affettare sottilmente le cipolle e cucinarle in un'ampia padella con dell'olio evo. Quando cominciano ad appassire salare con un paio di cucchiaini di salsa di soia e, una volta assorbita, versare il vino e l'aceto e cucinare a fuoco moderato fino all'assorbimento del liquido.
Qualche minuto prima della fine della cottura aggiungere l'uvetta scolata ed i pinoli tostati. Aggiungere una macinata di pepe nero.

E' un ottimo accompagnamento per un vassoio di carni lessate oppure un piatto di formaggi erborinati. In un vasetto sterilizzato si conserva in frigo fino ad una settimana.

E comunque non mi farei operare mai: sfortunata come sono io (numerosi esiti post operatori mai felici) sono sicura che mi sveglierei una mattina e me ne troverei una sopra la scapola! XD

Strudel di ricotta e pasta fillo, un gioiello ed una riflessione

Festa della Donna trascorsa in auto, per lavoro, 800 km tra strade semideserte, montagne innevate e temperature polari: -7°, tanto per gradire, alle ore 14.00! Un augurio? Meno mimose e più part-time!
E durante un paio di velocissime pause, un capolavoro ed uno spunto di riflessione: la Chiesa di San Giovanni a Tubre ed il Lago di Resia.
A Tubre, un paesino di neppure 1000 abitanti, mentre guidavo in direzione confine svizzero, ho incontrato quasi per caso una vera rarità storico - artistica, la chiesa romanica di S. Giovanni (XII sec.), arricchita da affreschi tardo romanici che mi hanno stordita per la loro forza: come mi ha ricordato un caro amico qualche giorno fa, credo di essere stata colpita dalla sindrome di Stendhal. Un gioiello che osserva le vicissitudini di questa valle, avvolta e protetta da possenti montagne, e che presenta palesi influssi bizantini. Chissà da dove veniva l’ignoto pittore che aveva respirato i profumi dell’oriente prima di approdare in un borgo così silenzioso.
E rientrando da un confine per raggiungerne un altro, quello austriaco, mi sono imbattuta nel Lago di Resia, fiabescamente gelato, che dava al solitario campanile intrappolato nel ghiaccio (ciò che resta dei paesi di Curon Resia e S. Valentino) un’aura di ulteriore impotenza di fronte all’arroganza dell’uomo. I paesi infatti furono cancellati dal lago artificiale resosi necessario al funzionamento della centrale idroelettrica. Risultato? il 70% della popolazione è emigrata e con essa la popolazione animale utile, 181 edifici agricoli (ovvero le case) saltati in aria, 514 h di superficie culturale andati irreparabilmente distrutti. Subito dopo il secondo dopoguerra l’Italia aveva bisogno di energia per la ricostruzione e la successiva crescita: ma quanto belpaese è stato divelto con questa giustificazione (leggi Vajont)? E oggi?
Al rientro a casa, a notte fonda, ho recuperato una ricetta che mi era stata dettata da una simpaticissima signora altoatesina, morbida, sorridente e bionda che vide noi due piccioncini (Roberto ed io) insieme alla loro prima vacanza tirolese, tra Villa Bachmann e la Gustav Maller Stube! Avevo bisogno di comfort food per calmare certe tristi riflessioni: che mondo lasceremo ai nostri figli?

Strudel di ricotta (can variante pasta fillo)

Ingredienti per la pasta strudel tradizionale: 250 gr farina 00, 150 cc di acqua tiepida, 1 pizzico di sale, 25 gr di olio di semi di mais. Si lavora con molta pazienza, con la punta delle dita e poi con forza, una volta ottenuta una palla composta, sulla spianatoia infarinata. Si lascia riposare per almeno un’oretta, unta edavvolta in un canovaccio. Poi si stende, molto sottile, sopra un canovaccio, si farcisce, si arrotola su sè stessa e si cucina in forno a 180° per almeno 40’, spennellata con del tuorlo d’uovo appena zuccherato.
Ma io ho usato della pasta fillo già pronta, congelata, suddivisa in singoli fogli e ne ho usati tre, uno sopra l’altro precedentemente spennellati di burro fuso.
Per il ripieno: 500 gr di ricotta freschissima, 150 gr di zucchero zefiro, 6o gr di panna acida (oppure panna fresca con un po’ di succo di limone), 3 uova ed un tuorlo, 100 gr di uvetta ammorbidita nel vino passito, la scorza grattugiata di un limone non trattato, un paio di cucchiai di pane grattugiato (se fosse al latte sarebbe meglio), un paio di cucchiai di burro chiarificato fuso.
Procedimento
Sciacquare l’uvetta e metterla in ammollo nel vino passito.
Setacciare la ricotta ed in una ciotola lavorarla con lo zucchero, le uova, la panna, la scorza di limone, il pane grattugiato e per ultimo l’uvetta asciugata ed infarinata (meglio nella maizena).
Stendere un foglio di pasta fillo sopra un canovaccio, spennellarlo di burro fuso, coprirlo con il secondo, spennellarlo di burro nuovamente e ripetere con il terzo.
Spalmare con una spatola il ripieno sulla pasta, lasciando libero qualche centrimetro nella parte finale dello strudel che verrà arrotolato aiutandosi con il canovaccio. Spennellare la superficie con un po’ di burro fuso o tuorlo d’uovo appena zuccherato. Posizionarlo sopra una leccarda ricoperta con della carta forno e cucinarlo nel forno statico già caldo per circa 35’-40’, fino a quando non sarà dorato e croccante.
Lasciarlo raffreddare sopra una gratella e servirlo con del passito, magari un buon Verduzzo (come quello utilizzato per l’uvetta) oppure, visto la freddissima giornata appena trascorsa, con una buona tazza di tè verde, aromatizzato con un pizzico di cannella.

I gà igà i gai ai pai pai poi

Ovvero “hanno legato i galli ai pali per i polli”, detto trevigiano, filastrocca o scioglilingua che dir si voglia, che mi ha sempre fatto ridere un sacco, da piccola. In realtà erano le galline chiocce che, nelle aie delle corti venete, venivano legate ai pali in modo da non razzolare troppo in giro, così da non esporre a pericoli inutili i pulcini. Mi ha sempre affascinato l’aia, esempio di integrazione perfetta: in uno spazio relativamente ampio vivevano senza tanti clamori gli abitanti del pollaio dove le galline, con i loro 200 vocaboli e movimenti rituali risultano avere un cervello molto più interessante rispetto a qualche tronista, qualche coniglio, l’immancabile cane, il gatto che di solito aveva anche l’onore di potersi scaldare vicino alla cucina economica o al camino. Un po’ distante il maiale, che allo stato brado sarebbe un animale agile e pulitissimo, qualche mucca nella stalla e magari anche un vitellino, il bue, per l’aratro, il cavallo ed una capretta per fargli compagnia. I più fortunati avevano anche il toro, i cui fans club erano sparsi nel giro di qualche decina di chilometri. E magari l’orto, qualche filare di vite, qualche albero da frutto, i salami appesi, i formaggi nella credenza assieme alle marmellate prodotte in estate, la cesta delle uova e d’invero il frigorifero ad impatto ambientale nullo: ovvero lo spazio esistente tra la finestra ed il balcone!

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Questa immagine mi ricorda la casa di mio nonno materno ed i tuffi che facevo d’estate nel cumulo di fieno, lanciandomi dal granaio e puntualmente raggiunta dal gallo, un tipo un po’ selvatico che inseguiva tutti coloro che considerava estranei: ossia tutti gli essere viventi a parte le galline. Oche, anatre, faraone ed anche il pavone subivano il medesimo trattamento, oltre a me, naturalmente.

Così, ripensando ai bei tempi andati, ne ho messo uno in pentola ;-) , preparando due terrine: una calda, nel senso di cucinata ed una fredda, resa un po’ intrigante nel gusto grazie alla grappa ed al foie gras, ispirata da una memorabile visita alla distilleria Maschio Bonaventura, ma ve ne parlerò fra qualche giorno.

Terrina di gallo: croccante e piccante.

Ingredienti

un gallo (scovato in una fattoria vicina) dal quale ottenere 800 gr di polpa, 200 gr di pancetta steccata, 50 gr di granella di pistacchio, 50 gr di mandorle a lamelle, 50 gr di uva del sultano (sultanina!), 10 gr di panna fresca, 3 scalogni, un bicchierino di vino passito, peperoncino, sale, una cipolla steccata con dei chiodi di garofano, una carota ed una gamba di sedano, una stecca di cannella, dei grani di pepe nero ed una foglia di alloro.

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Procedimento

In una pentola capiente mettere il gallo con la cipolla steccata, le verdure, la cannella, i grani di pepe nero e la foglia di alloro, riempire d’acqua fredda, portare ad ebollizione, schiumare bene, abbassare il fuoco, coprire e lasciar andare per almeno un paio d’ore.

Mettere l’uvetta in ammollo con il vino passito, lasciar raffreddare e spolpate il gallo avendo l’accortezza di mettere da parte le parti compatte di grasso (eventualmente sostituibile con dell’olio evo), rosolare gli scalogni dolcemente, aggiungere la carne e la pancetta tritata e lasciar andare per qualche minuto. Versare nel frullatore con le mandorle: frullare il tutto emulsionando con la panna ed il vino passito usato per l’uvetta. In una ciotola unire alla carne frullata la granella, l’uvetta ed il peperoncino, amalgamando bene il tutto con una spatola. Regolare di sale ed eventualmente di peperoncino.

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Cucinare a bagno maria nel forno statico a 180° per un’ora e mezza; lasciar raffreddare e servire, tagliata a fette, con delle verdure calde, come spinacini morbidi spadellati con un cucchiaio d’olio evo ed un po’ di burro chiarificato o con morbidissime patate al cartoccio.